Promuovere la filantropia strategica: l’Effective Philanthropy Group della William and Flora Hewlett Foundation

Promuovere la Filantropia Strategica per generare impatto sociale. Nell’intervista con Fay Twersky, Director dell’Effective Philanthropy Group presso la William and Flora Hewlett Foundation, esaminiamo l’innovativo approccio di una della principali fondazioni a livello mondiale.

Promuovere la filantropia strategica: l’Effective Philanthropy Group della William and Flora Hewlett Foundation

Con un patrimonio di $9 miliardi e oltre $400 milioni di erogazioni nel 2015, laWilliam and Flora Hewlett Foundation è il quarto maggiore grantmaker negli Stati Uniti e una delle principali fondazioni a livello globale. L’Effective Philanthropy Group è stato creato nel 2012 con un duplice obiettivo: supportare il lavoro quotidiano della Hewlett Foundation e sviluppare l’intero settore della filantropia. Con oltre $35 milioni erogati promuove l’uso della filantropia strategica, evidenziando strumenti ed esperienze di successo – e non – per supportare organizzazioni non profit realmente performanti.

Nel 50° anniversario della Hewlett Foundation abbiamo analizzato la sua strategia e i principali trend filantropici negli USA con Fay Twersky, Director dell’Effective Philanthropy Group e Leap Ambassador.

Cominciamo con una domanda sull’approccio della Hewlett Foundation. Come si caratterizza l’attività erogativa della Fondazione in termini di obiettivi, durata e dimensione dei grant?
La maggior parte dei nostri grant sono a supporto delle spese operative e a lungo termine. Il nostro maggior grant è stato di $500 milioni alla Climate Works Foundation, ma ogni programma è differente e le erogazioni possono variare da $100.000 a diversi milioni.

Abbiamo 5 principali aree strategiche di giving in base al valori dei nostri donatori – William e Flora. Il nostro approccio outcome-focused segue un ciclo di vita strategico. Si comincia con una riflessione sui problemi che vogliamo risolvere, comprendendone la natura specifica – cosa già è stato fatto, quali pratiche hanno probabilità di essere efficaci. Da qui viene definito uno specifico obiettivo e le linee guida per perseguirlo. Man mano che procediamo misuriamo costantemente i nostri progressi per assicurarci di essere sulla giusta strada nei tempi stabiliti – e, in caso gli studi di valutazione indichino altrimenti, per correggere il tiro.

Come selezionate le organizzazioni beneficiarie per assicurarvi che le vostre risorse possano fare la differenza?  

Cerchiamo di affiancare i nostri grantee su un periodo di tempo lungo, per conoscerli a fondo. Le organizzazioni che selezioniamo hanno obiettivi allineati ai nostri e unaTheory of Change che comprendiamo bene.

Inoltre devono misurare il proprio operato – attività che supportiamo economicamente – ed essere disposte a partecipare agli studi di valutazione delle nostre strategie. Ogni anno, infatti, passiamo in rassegna il nostro lavoro per vedere se dobbiamo modificare le nostre erogazioni e, ogni 4-5 anni, avviamo una valutazione più ampia: in questi casi vengono messe in discussione le nostre assunzioni a livello di sistema e ci avvaliamo di valutatori esterni che analizzano attentamente i nostri progressi.

E può capitare che alcune strategie vengano eliminate. Quando sono entrate in Fondazione un paio di anni fa, ad esempio, abbiamo valutato la nostra Non profit Marketplace Initiative: ci siamo resi conto che non stava contribuendo al raggiungimento dei nostri obiettivi e abbiamo deciso di terminarla.

Supportiamo le organizzazioni di cui comprendiamo la Theory of Change e che s’impegnano a misurare il proprio operato

A livello di uso del patrimonio, la Hewlett Foundation è attiva al momento con investimenti ESG – tesi sostanzialmente a non creare un impatto negativo. Crede che nel prossimo futuro l’impact investing potrà diventare una linea attiva per la Fondazione? 

Forse, ma non al momento. Stiamo considerando l’impact investing per conoscere meglio il settore e le opportunità – ma in questo momento non lo stiamo affrontando attivamente. Crediamo di avere ancora molto da fare per rendere l’attività filantropica più efficace.

Passando al lavoro specifico dell’Effective Philanthropy Group, le vostre attività mirano alla promozione delle pratiche di filantropia strategica. Come operate e quali sono le vostre priorità dopo la rivisitazione strategica del 2013? 

L’Effective Philanthropy Group è un team ibrido. Lo descriverei così: lavoriamo per rafforzare la nostra Fondazione e il nostro settore. A livello di Fondazione, siamo attivi per dare le linee guida in termini di strategia, valutazione e apprendimento organizzativo.

Per il settore forniamo innanzitutto Organizational-Effectiveness Grants in tutte le nostre aree programmatiche, per aiutare i beneficiari a diventare organizzazioni forti e resilienti. Con queste donazioni copriamo tutti quei costi che altri filantropi non amano sostenere: rafforzare il controllo di gestione, sviluppare un sistema di performance management, assumere o avvalersi di specialisti – voci di spesa fondamentali per un’organizzazione realmente funzionale e performante ma poco amati dai finanziatori.

Un’altra area è quella del Philanthropy Grantmaking con due strategie principali: una è il programma Knowledge for Better Philanthropy. Attraverso questa linea sosteniamo 14 organizzazioni che producono e/o diffondono ricerche indipendenti e di alta qualità su come fare filantropia in modo efficace. Per esempio siamo da lungo sostenitori delCenter for Effective Philanthropy e di Grantmakers for Effective Organizations; e, dalla sua nascita, sosteniamo la Stanford Social Innovation Review. 

La seconda linea strategica è il Fund for Shared Insight, un’iniziativa abbastanza nuova che portiamo avanti con altri funders per stimolare la filantropia, costruendo un settore sociale più “aperto” in termini di trasparenza e di recettività alle nuove idee.

 Lavoriamo per rafforzare la nostra Fondazione e il nostro settore. Attraverso gli Organizational-Effectiveness Grants copriamo tutti questi costi che i finanziatori non amano sostenere ma che sono fondamentali per rendere un’organizzazione funzionale

In quest’ottica di apertura dovete creare rapporti collaborativi e trasparenti con le organizzazioni beneficiarie. Come vi muovete e come superate il timore da parte dei grantees che i dati condivisi non verranno utilizzati in modo punitivo?

Credo che sviluppare relazioni aperte con i beneficiari sia fondamentale. Per far questo è importante una chiara comunicazione delle strategie dei finanziatori, di come l’organizzazione beneficiaria rientri in questo disegno e degli obiettivi attesi. E bisogna saper ascoltare. In sostanza, bisogna rendere la relazione una vera partnership più che un rapporto di subfornitura: quando l’erogatore tratta i propri grantees come fornitori non può instaurarsi un clima di fiducia e spesso il rapporto si riduce a una transazione economica in cui l’organizzazione beneficiaria teme – e non ha vantaggio – di essere pienamente trasparente.

Aggiungerei che i nostri Organizational Effectiveness Grants aiutano molto a questo proposito. I dati dei Grantees Perceptions Report – uno studio che produciamo ogni 2 anni – evidenziano come le donazioni per il capacity building contribuiscano a potenziare la relazione. Questo perché una non profit che si presenta lamentando, ad esempio, un limite nel proprio controllo di gestione riceve un extra-grant per risolvere il problema invece che essere “punita”.

Credo che sviluppare relazioni aperte con i beneficiari sia fondamentale. Dobbiamo rendere la relazione una vera partnership più che un rapporto di subfornitura. Quando l’erogatore tratta i propri grantee come fornitori non può instaurarsi un clima di fiducia”

Domanda collegata: la cultura del fallimento. La condivisione degli insuccessi è argomento sempre più accettato a livello di business come parte necessaria per generare innovazione. Spesso, però, resta un tabù nel settore sociale. Cosa ne pensa e come gestite il fallimento nel vostro lavoro?  

Sono d’accordo, dobbiamo diventare molto più bravi a parlare del fallimento e di ciò che non ha funzionato.

Alla Hewlett Foundation abbiamo una tradizione ormai consolidata: ogni paio di mesi organizziamo momenti che chiamiamo “In Town Weeks”, dove ci confrontiamo sui principali punti di interesse. Parliamo spesso del fallimento, di ciò che non è andato come da piani, di errori che abbiamo commesso, di cambiamenti e opportunità attese che non si sono concretizzate… Lo condividiamo, apertamente, cercando di rendere questi momenti coinvolgenti e utili per le nostre iniziative future.

E lo facciamo anche pubblicamente, come per la Non Profit Marketplace Initiative cui accennavo prima: abbiamo condiviso ogni parte della valutazione con la nostra audience. Ed è anche un pilastro del nostro Fund for Shared Insight che mira ad aumentare la trasparenza. Siamo fortemente dedicati a mostrare casi di successo e ciò che non funziona, in modo che tutti possano trarre beneficio dalla nostra lezione ed evitare di attivarsi in pratiche inefficaci. Questa è l’essenza della filantropia strategica.

Dobbiamo diventare molto più bravi a parlare del fallimento. Siamo fortemente dedicati a mostrare ciò che non funziona, in modo che tutti possano trarre beneficio dalla nostra lezione. Questa è l’essenza della filantropia strategica

Passando ai fattori generali che riscontrate dal vostro osservatorio, quali sono i principali trend che stanno delineando il settore filantropico statunitense? 

Credo sia interessante evidenziare la crescita esponenziale della filantropia in USA. Non solo molte più fondazioni, ma molte più fondazioni di grandi dimensioni grazie dell’enorme ricchezza che è stata creata. Negli ultimi vent’anni il numero di fondazioni negli Stati Uniti è triplicato, superando le 100.000 unità. E al momento sono circa 88 le fondazioni con oltre $1 miliardo di patrimonio (50 anni fa, quando la Hewlett Foundation è stata costituita, erano 8).

In maniera correlata, sono molte di più le persone orientate alla filantropia, nel corso della propria vita e non più alla fine, con forte interesse ad esplorare nuove forme per creare impatto sociale: costituire una fondazione, avvicinare nuove forme come l’impact investing, fornire grant a leader individuali… sono fattori che vanno ad aggiungersi alle donazioni al non profit. Posso testimoniare un’accresciuta volontà di esplorazione e ricerca, andando oltre la deduzione a fini fiscali che non è più l’unica linea guida.

Di fatti, i donatori stanno diventando più sofisticati nei propri fattori di scelta. Il focus sui costi di gestione, ad esempio, è stata una sfortunata preoccupazione per troppi anni: dato che erano pochi i parametri misurabili consultabili dai donatori, i costi di gestione sono stati presi come indicatore rilevante. A volte lo sono, a volte non hanno nessuna importanza. Sicuramente non sono il principale indicatore di efficacia. Credo che molti donatori stiano uscendo da quello che potremmo chiamare il “mito dell’overhead” per concentrarsi sugli outcomes concretamente prodotti: un’organizzazione con costi operativi più alti ma molto efficace nel produrre risultati sociali è un investimento molto più sensato di una con bassi costi ma incapace di generare vero cambiamento.

Credo che molti donatori stiano uscendo da quello che potremmo chiamare il ‘mito dell’overhead’  per concentrarsi sugli outcome concretamente generati

Sentiamo molto parlare di colossali iniziative filantropiche, basti considerare il Giving Pledge o il recente annuncio di Zuckerberg. Resta però da vedere se questi annunci saranno in grado di generare un vero cambiamento sociale. Quale consiglio darebbe a un nuovo filantropo desideroso di attivarsi a favore della comunità? 

Gran bella domanda. Alcuni anni fa portavo avanti una ricerca che vedeva coinvolti diversi CEO e tra loro intervistai Patty Stonesifer, primo CEO della Bill and Melinda Gates Foundation. Posi una domanda simile e della sua risposta ricordo una cosa in particolare: “Nel mondo dell’IT cerchi di assumere persone sveglie e brillanti ma in filantropia, quando sei davanti a complesse problematiche sociali da risolvere, ti servono persone sagge” – che conoscono il settore, i suoi spigoli e le sue complessità e che portano con sé questo bagaglio di esperienza.

Credo che darei questo consiglio a un nuovo filantropo. Quando cominciate,circondatevi di esperti – questo è ciò che funziona nel settore sociale. Warren Buffettè famoso per aver detto: “Nel mondo del business cerchi sempre la cosa facile, il posto facile in cui fare soldi. Nella filantropia cerchi appositamente la cosa più complicata”. Come sostiene lui: “Si tratta di un gioco molto più difficile”.

Penso sia vero – è molto più complicato creare cambiamento nel settore sociale. Portate a bordo persone di esperienza e non aspettatevi di rivoluzionare il mondo in un giorno. Per creare vero impatto sociale, dovete combinare la pazienza con un senso di urgenza.

Portate a bordo persone di esperienza e non aspettatevi di rivoluzionare il mondo in un giorno. Questo è il mio consiglio per nuovo filantropo

Per ulteriori informazioni http://www.hewlett.org/

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