Il contributo di Marco Gerevini, tra i relatori del corso executive in Social Impact Investing (18-19 maggio)

Impact investing: un'opportunità per le fondazioni italiane. Ne abbiamo parlato con il direttore di Fondazione Housing Sociale, fondazione di scopo lanciata da Fondazione Cariplo nel 2004 per promuovere lo sviluppo e il rafforzamento del settore dell'edilizia privata sociale attraverso strumenti di mercato.

Il contributo di Marco Gerevini, tra i relatori del corso executive in Social Impact Investing (18-19 maggio)

Impact investing: un’opportunità per le fondazioni italiane, come dimostra il caso del Sistema Integrato dei Fondi (SIF), tra le principali esperienze nel settore degli investimenti a impatto a livello mondiale. A condizione di investire in competenze per unire lo spirito di innovazione tipico delle fondazioni con le skill specifiche degli investimento a impatto sociale. 

Ne abbiamo parlato con il direttore di Fondazione Housing Sociale, fondazione di scopo lanciata da Fondazione Cariplo nel 2004 per rispondere ai bisogni abitativi dei soggetti più deboli. 

 

Impact investing: se ne parla diffusamente ma in Italia è qualcosa di fattibile o si tratta semplicemente di riflessioni accademiche?

Direi che si tratta assolutamente di una realtà. Mi riferisco in particolare all’housing sociale: il Sistema Integrato dei Fondi (SIF) nato nel 2009 ha l’obiettivo di fornire capitale paziente per incrementare l’offerta abitativa dedicata alle categorie di popolazione con un reddito incompatibile con l’edilizia popolare, ma che non sono in grado di soddisfare le proprie esigenze abitative sul mercato tradizionale. La capitalizzazione del SIF ammonta a circa €3 miliardi (di cui circa €1 mld proveniente da fondazioni, enti locali, casse di previdenza privata, gruppi bancari e assicurativi). Il SIF è tra le principali esperienze a livello internazionale, e per dimensioni si tratta del terzo programma al mondo di impact investing.

 

Pensando al mondo delle fondazioni, quali sono a tuo avviso opportunità e sfide dell’impact investing?

In primis l’impact investing non va vista come un’alternativa, una sostituzione rispetto al grant: va inteso come un’opportunità complementare che può agire come un moltiplicatore dell’impatto delle donazioni. Sicuramente ci sono attività che hanno e avranno sempre bisogno di essere sostenute tramite donazioni; ma sono sempre più le iniziative che possono avere attraverso l’impact investing un impatto virtuoso, nella logica della sostenibilità economica di lungo periodo. Senza contare che, in certe situazioni, utilizzare l’investimento con l’impegno alla restituzione del capitale invece che il grant può essere più efficace anche per la responsabilizzazione dei beneficiari.

Si tratta di un settore nuovo, che richiede competenze non diffuse e ha una logica diversa dal grant: quindi c’è bisogno di un ulteriore ampliamento delle professionalità già elevate presenti all’interno delle fondazioni e di un po’ di sana contaminazione con il mondo della finanza sociale e della venture philanthropy. Un fronte innovativo che può far evolvere l’approccio di una fondazione. Ma l’innovazione è nella natura delle fondazioni, che sono abituate ad aprire nuove prospettive: il SIF a cui accennavo è stato concepito da Fondazione Cariplo e la spinta innovativa di una fondazione che ha creato l’housing sociale – oggi una delle realtà più importanti di impact investing a livello internazionale – può continuare a dare impulso al settore degli investimenti ad impatto trasferendo le competenze acquisite in altri settori. Per far ciò le fondazioni devono continuare ad essere attori e promotori di innovazione.

 

Che cosa è mutato in Italia in questi ultimi anni da spingere a essere ottimisti sulle possibilità di crescita del settore?

In questi ultimi anni in Italia si sono manifestati alcuni fenomeni importanti: da un lato, una crescita rilevante dei bisogni sociali a fronte di minori risorse pubbliche; dall’altro una maggiore sensibilità, una maggiore attenzione ai temi sociali da parte degli investitori e delle nuove generazioni. Infine i rendimenti degli investimenti sono più ridotti rispetto al passato quindi gli investimenti a impatto sociale, che hanno un rendimento più basso rispetto al mercato, hanno ridotto il differenziale con i rendimenti di mercato. Queste sono solo alcune delle condizioni favorevoli allo sviluppo di una finanza sociale d’impatto.

L’ecosistema dell’economia sociale in Italia è caratterizzato da un grande numero di soggetti: circa 100.000 tra organizzazioni non profit, cooperative sociali e imprese sociali e oltre 60.000 società di capitali operative nei settori di attività previsti della legge n.118/05. Oltre alle imprese sociali, alle organizzazioni del terzo settore e alle start-up innovative, l’ecosistema italiano si sta arricchendo di un crescente numero di incubatori, acceleratori, circuiti di economia solidale e collaborativa e piattaforme di condivisione.

Queste realtà si trovano oggi a dover rispondere a bisogni emergenti, in un contesto di tassi di copertura dei servizi pubblici sempre più ridotti. Le condizioni di contesto impongono un investimento straordinario nella produzione di innovazione sociale, nei servizi e nei processi, nuovi modelli di attività e l’utilizzo di innovazione tecnologica.

I modelli di attività di molti di questi soggetti presentano caratteristiche di fragilità e scarsa sostenibilità nel tempo, spesso accompagnati da una visione strategica limitata, difficile scalabilità e ridotta attenzione agli aspetti amministrativi e gestionali.

È necessario costruire contesti di valorizzazione che permettano l’emergere e il consolidarsi di modelli di attività solidi e sostenibili nel lungo periodo. L’approccio tipico degli investitori impact può contribuire allo sviluppo di tali modelli di attività.

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