Social Impact Investing: opportunità per le fondazioni e scenario italiano

3 domande a Rodolfo Fracassi, docente del V Corso Executive in Social Impact Investing (18-19 maggio)

Social Impact Investing: opportunità per le fondazioni e scenario italiano

I comportamenti e le percezioni delle persone stanno cambiando: se i dati di Lifegate mostrano come il 49% degli italiani dinnanzi a una scelta di investimento opti per l’investimento sostenibile anche a fronte di un rendimento minore, si comprende come l’attenzione agli impatti socio-ambientali stia crescendo. Aumenta di conseguenza la centralità degli investimenti sostenibili e soprattutto dell’impact investing che, rispetto alle allocazioni basate su criteri ESG, vuole creare una connessione diretta tra capitale e cambiamento sociale che viene generato, ponendo al centro l’intenzionalità e la misurabilità di un impatto positivo.

In questo scenario, è importante evidenziare motivazioni e obiettivi per diverse tipologie di investitori, tra cui le fondazioni. A margine del Salone del Risparmio 2017, abbiamo discusso con Rodolfo Fracassi, Managing Director di MainStreet Partners e docente del V Corso Executive in Social Impact Investing. VAI AL PROGRAMMA

 

Pensando al mondo delle fondazioni, quali sono a tuo avviso le motivazioni principali per questo genere di player che possono spingere ad approfondire l’opportunità degli investimenti ad impatto?

In primis, per lo meno nella mia esperienza, va evidenziata la possibilità di poter seguire il ciclo di vita di iniziative che le fondazioni hanno sostenuto inizialmente attraverso donazioni: se l’organizzazione a cui ho donato per anni ora comincia a stare in piedi da sola grazie a un fatturato prodotto, per lo meno parzialmente, da attività imprenditoriali, l’impact investing può permettermi di accompagnare queste realtà a un avviamento sostenibile invece che abbandonarle a sé stesse lasciandole alla ricerca di nuovi finanziatori. Questo a mio avviso è uno stimolo molto importante.

Dal punto di vista delle non profit, approcciarsi al mondo impact vuol dire innanzitutto aumentare la propria consapevolezza interna, la propria mentalità e attitudine alla sostenibilità. Ovviamente ci saranno sempre progetti/iniziative “a fondo perduto”, perché certe problematiche non possono avere una risoluzione imprenditoriale, ma l’impact porta ad apprendere che il capitale ha un costo, a capire come coprire quel costo e, gradualmente, stare in piedi da solo. Significa assumere una mentalità imprenditoriale per remunerare il capitale ricevuto (chiaramente non con rendimenti a doppia cifra!) per uscire da una logica in cui le risorse arrivano comunque, che tu sia efficiente o meno.

 

Cos’è cambiato in questi ultimi anni nello scenario del social impact investing? Avete registrato dei segnali di crescita e indicazioni su cosa possiamo aspettarci per il futuro?

Penso che la principale evoluzione riguardi lo sviluppo dell’ecosistema dell’impact investing, in termini d’iniziative nelle quali investire ma anche per quanto riguarda la creazione di veicoli che la finanza ha sviluppato per permettere al capitale del risparmiatore di raggiungere la società target, come le obbligazioni tematiche, i green bond, o i fondi dedicati a settori specifici come climate change, organic food, microfinanza e così via. Gradualmente si sta popolando un universo in cui da un lato l’investitore aumenta la propria domanda di investimenti impact, dall’altra le aziende – imprese sociali o grandi aziende con divisioni dedicate – rispondono attrezzandosi per diventare investibili.

L’altro punto d’interesse è sicuramente l’attenzione, soprattutto nell’ultimo anno, per il mondo degli investimenti sociali/ambientali che è cresciuta tantissimo. Si tratta di un naturale desiderio di investire in impatto sociale: così come si sta affermando sempre di più il desiderio di comprare alimenti organici, piuttosto che di conoscere le modalità di produzione degli indumenti che si indossano in termini di rispetto dei diritti umani e così via, allo stesso tempo le persone cominciano a guardare all’effetto che i propri capitali possono creare nel mondo. Questo è molto importante e si è tradotto in una crescita significativa degli asset gestiti in ambito impact investing. È difficile dare dimensioni precise (c’è chi parla di un passaggio da 20 a 100 miliardi): è complicato misurare esattamente la dimensione del settore ma sicuramente, anche solo nell’ultimo anno, possiamo stimare che gli asset gestiti siano triplicati. Si tratta di una crescita sicuramente fenomenale; bisogna poi valutare che tutti questi investimenti siano corretti, fatti bene, e che si tratti realmente di impact investing nella sua accezione più pura.

 

Domanda conclusiva: quali sono le prospettive per l’Italia?

L’Italia ha un’enorme disponibilità di capitali per questo settore e culturalmente siamo affini a questa mentalità. Stiamo registrando segnali positivi: ad esempio la crescita di iniziative, con nuove imprese sociali che lavorano per diventare investibili; la discesa in campo del settore corporate, con qualche grande azienda che ha emesso obbligazioni tematiche (come i green bond collocati da Enel – ndr); un framework legislativo che ha fatto qualche passo avanti.

È sempre abbastanza complicato trovare gli strumenti: il grande scoglio per un investitore rimane la disponibilità dei veicoli di investimento anche se, rispetto a qualche anno fa, si sono fatti passi avanti. Sono nati nuovi fondi come il fondo Investimenti Sostenibili di Sella Gestioni, un prodotto molto innovativo in particolare sotto due aspetti: in primis perché rivolto a un pubblico retail, aprendo così ai privati gli investimenti impact precedentemente appannaggio dell’investitore istituzionale; inoltre per la tracciabilità e la misurabilità dell’impatto. In un mondo dove esistono tanti prodotti sostenibili o catalogati come tali, questo fondo ha una connotazione fortissima e permette di tracciare l’impatto di ogni euro che viene investito in microcredito, energia rinnovabile, agricoltura sostenibile ecc. Chiaramente non riusciremo a misurare quell’impatto al 100% ma sicuramente è possibile dare una tracciabilità a tutti gli investimenti che sono nel portafoglio – e questa è un’evoluzione fondamentale.

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