Arcus Foundation – Push Boundaries. Make Change. 

L'intervista a Adam Phillipson, Great Apes Program Officer, esplora i programmi di conservazione della fauna a rischio ed evidenzia la strategia filantropica della Arcus Foundation, nata nel 2000 a New York per sostenere programmi di tutela animale e di giustizia sociale

Arcus Foundation è un’importante fondazione internazionale che si basa sull’idea che gli individui possano vivere in armonia con se stessi e la natura. Può parlarci delle origini della fondazione e della sua evoluzione nel corso degli anni?

Personalmente mi occupo del progetto di salvaguardia di Arcus Foundation. Abbiamo due diverse aree progettuali: la giustizia sociale e il progetto di salvaguardia. Il progetto di giustizia sociale fa capo alla sede di New York e sostiene e finanzia iniziative che riguardano il mondo LGBT. Si tratta di un’area completamente separata dal progetto di salvaguardia per cui lavoro io. Sono il responsabile di questo progetto, che consta di due aree progettuali diverse ma connesse tra loro: la salvaguardia dei grandi primati nel loro ambiente naturale, e il benessere dei primati in cattività.

Arcus Foundation fu fondata nel 2000 da Jon Stryker, nostro attuale presidente. Fin dall’inizio Stryker ha sostenuto le varie attività della fondazione con finanziamenti per oltre 500 milioni. Inizialmente la sua intenzione era sostenere il benessere dei primati negli Stati Uniti, soprattutto degli scimpanzè provenienti dai laboratori di ricerca, e per questo decise di finanziare alcune oasi per primati in Nord America, nei primi cinque anni, per conto di Arcus Foundation. In seguito fece entrare nella sua squadra un primatologo che aveva lavorato in Centrafrica per 20 anni con i bonobo, gli scimpanzè e i gorilla. Quando questo primatologo iniziò a lavorare per Arcus, cominciammo a trasformare il progetto per concentrarci sulla salvaguardia di alcune scimmie nel loro habitat, migliorando il loro benessere nelle oasi. Oggi la maggior parte dei nostri finanziamenti vanno a favore del sostegno e della tutela delle oasi protette in Africa e Asia. Sosteniamo ancora qualche grande oasi in Nord America, ma si tratta di una parte residuale del progetto.

Siamo cresciuti molto negli ultimi 10-15 anni, e l’ammontare dei finanziamenti che siamo in grado di erogare è aumentato, tanto che distribuiamo fondi in 15-16 paesi. Non sosteniamo progetti in tutti i paesi che in cui vivono i grandi primati, ma nella gran parte di essi sì. Sul nostro sito trovate un elenco di quelli che chiamiamo «scenari prioritari»: ne abbiamo scelti 20 in tutta l’Africa e l’Asia, dove si concentra la maggioranza dei nostri finanziamenti, gran parte dei quali sono destinati alla salvaguardia dei primati nella natura, nel loro habitat.

La nascita di Arcus Foundation si deve all’impegno di Jon Stryker e al suo coinvolgimento sul fronte della giustizia sociale, in particolare sui temi dell’orientamento sessuale e del genere, da un lato, e della salvaguardia e del benessere dei primati dall’altro. Jon è aperto ai suggerimenti dello staff di progetto sulla destinazione del proprio denaro e su quali azioni devono essere intraprese per tutelare i primati nel loro habitat, per migliorare il loro benessere nelle oasi e per cambiare il punto di vista del pubblico sulla convivenza tra umani e primati nelle foreste.

Obiettivo del progetto Grandi Primati è accrescere la consapevolezza e il rispetto per i diritti e il valore intrinseco dei grandi primati, soprattutto per quanto riguarda il loro diritto a vivere liberi da abusi, sfruttamento e proprietà privata. Nel 2016 Arcus ha destinato oltre 10 milioni di dollari ad organizzazioni che si battono per salvaguardare e proteggere l’universo dei grandi primati.

 

Perché avete scelto questo tema specifico? 

Abbiamo una capacità erogativa media, e ci rendiamo conto che salvaguardare le tante specie che esistono in natura, specialmente nel caso dei grandi primati che vivono in 20 paesi diversi, richiede un grande investimento. Perciò, per realizzare un certo tipo di impatto, crediamo sia meglio concentrarci su una singola specie. A Jon Stryker piacciono i primati, e questa è la ragione principale della nostra scelta. Crediamo però che i grandi primati siano una cosiddetta “specie ombrello”. Se preserviamo le enormi distese di foreste dove vivono i grandi primati, proteggeremo contemporaneamente anche altre specie. Tutelare i primati ci permette di preservare anche vaste regioni dell’Africa e dell’Asia.

Quanto agli obiettivi del progetto, ne abbiamo principalmente tre. Diffondere la conoscenza e il rispetto del valore e dei diritti dei grandi primati è uno di questi, ed è connesso al lavoro che svolgiamo per le oasi e il benessere di questi animali in Africa e Asia. Rientra in questo obiettivo anche la diffusione in Europa, America e in altre nazioni del mondo della conoscenza del legame che esiste tra la biodiversità e il benessere animale per la sostenibilità del pianeta.

Il secondo obiettivo del progetto è conciliare salvaguardia e sviluppo economico, in modo da tutelare i primati ma anche assicurarci di non danneggiare le comunità locali. Se preserviamo le foreste che le persone hanno bisogno di sfruttare, porteremo svantaggi insieme a benefici.

L’ultimo obiettivo è quello di imprimere un impulso maggiore e di stabilire partnership per la salvaguardia tra i governi, il settore privato, le imprese, gli operatori economici, le associazioni e i cittadini in tutto il mondo per trovare insieme strategie per tutelare i primati in natura e per accrescere il rispetto per i primati a livello globale.

Attualmente lavoriamo in sempre più paesi, e controlliamo e misuriamo il nostro impatto tramite un dettagliato elenco di indicatori. Ci avvaliamo di indicatori altamente sofisticati per essere sicuri che nei nostri scenari prioritari la popolazione dei primati rimanga stabile o aumenti, e che i pericoli che la minacciano non superino il livello di guardia. Questo è il principale obiettivo del progetti di salvaguardia.

Per quanto riguarda il progetto delle oasi, gli obiettivi fondamentali sono ridurre il numero di primati in cattività e assicurare che il loro benessere in queste aree migliori sempre più. Da parte mia, nell’ottica del progetto di salvaguardia, uno dei maggiori successi è il fatto che la popolazione di primati aumenti. In un panorama generale che rimane preoccupante per quanto riguarda i primati e le foreste, i piccoli successi sono molto importanti. Se vediamo che una popolazione aumenta di numero, lo consideriamo un successo e lo misuriamo nei nostri scenari prioritari in Africa e Asia.

Eroghiamo finanziamenti, perciò facciamo affidamento sui nostri partner, i soggetti finanziati, perché svolgano il lavoro per noi. Devono affrontare molte sfide. Per esempio, nel nostro scenario prioritario in Repubblica Democratica del Congo, dove vivono i gorilla, i bonobo e gli scimpanzé, le minacce sono molte. Possono venire dalla popolazione locale di contadini poveri che non hanno cibo né denaro, quindi cacciano i gorilla, o dall’instabilità sociopolitica, dalla guerra, dai danni provocati all’ambiente attraverso la deforestazione, le miniere, l’estrazione di gas, la costruzione di infrastrutture… i pericoli sono tanti. Alcuni di essi sono molto seri, e quando parlavo di conciliare salvaguardia e sviluppo economico intendevo dire che stiamo cercando strade attraverso cui lo sviluppo economico possa andare avanti senza intaccare la popolazione dei primati e le foreste dove oggi vive.

Un altro principio fondamentale per noi è lavorare a stretto contatto con la Banca Mondiale, a cui abbiamo suggerito alcuni correttivi nei meccanismi di prestito ai governi e ai privati per migliorare i criteri di ammissibilità, in modo che chi richiede un prestito possa considerare il proprio impatto sull’ambiente e sulla popolazione dei primati.

Quanto al progetto sulle oasi, abbiamo ottenuto alcuni significativi risultati in America. Abbiamo lavorato molto sulle regole che disciplinano la permanenza degli scimpanzé nelle aree protette e negli zoo, e per gli scimpanzé che provengono dai laboratori di ricerca. I maggiori successi nella tutela dei primati in cattività in America sono arrivati da quando Arcus si è occupato del problema. Siamo convinti che il nostro impatto, sia a livello federale che statale, sia stato veramente significativo.

Esistono quindi diversi livelli di impatto che vorremmo realizzare, ma l’obiettivo progettuale più importante da raggiungere è mantenere stabile la popolazione di primati in natura e cercare di migliorare lentamente la loro condizione in cattività.

 

Quali sono i vostri programmi per il futuro e le sfide che dovrete affrontare in questo settore?

Per quanto riguarda il progetto di salvaguardia, il problema principale per noi è quello di erogare finanziamenti in modo mirato. Vogliamo proteggere i primati in natura e abbiamo bisogno di collaborare con partner che lavorano nelle foreste di Africa e Asia, ma anche con i governi per delineare nuove politiche, e con le aziende per trasformare i loro modelli di comportamento. Sono temi molto caldi, che riguardano politiche globali in rapida evoluzione. Parliamo di capitalismo, neoliberismo, sfruttamento delle risorse e crescita della classe media in tutto il mondo. Vogliamo occuparci anche di cambiamento climatico: quali conseguenze avrà sulle foreste, di qui a vent’anni? Ecco che sorge un conflitto tra il futuro delle foreste e la salvaguardia dei primati, nel considerare quali saranno le minacce da affrontare in futuro. Stiamo cercando di pensare a tutto ciò costruendo partnership, un’attività che richiede riflessione e interazione con diversi tipi di individui e organizzazioni.

Per quanto riguarda il progetto oasi e benessere, stiamo concentrando il nostro sostegno sulla realizzazione e gestione di oasi nei “rain states” (non ho trovato il significato di questa locuzione, ndr), e così pure in Africa e Asia. Anche per questi paesi le sfide sono molteplici. Alcuni di essi non hanno neppure un’area protetta (succede per esempio in Liberia, dove molti scimpanzé vengono tenuti nelle case private, in condizioni terribili). Lavoriamo con i nostri partner per migliorare le oasi in questi paesi, e questa rappresenta per noi una priorità per i prossimi cinque anni.

 

Collaborate anche con altre fondazioni grant-making su questi temi?

Assolutamente sì, siamo in rete. Cerchiamo di scoprire quali donatori sono impegnati nella salvaguardia della natura, per l’ambiente, sul cambiamento climatico. È forte il desiderio di costruire collaborazioni più solide e strette tra soggetti erogatori.

 

Come selezionate i vostri beneficiari? Quali sono i principali criteri?

Abbiamo i nostri scenari prioritari, quindi privilegiamo organizzazioni che operano in quelle aree.

Di solito queste regioni sono importanti per le specie di primati che ospitano, quindi spesso sono le organizzazioni di tutela che ci contattano per i loro progetti in quelle zone. In alcuni scenari può non esserci neppure un’organizzazione perché mancano le infrastrutture, o sono troppo isolate. Non selezioniamo le ong e non chiediamo loro presentare domanda per i nostri finanziamenti. Abbiamo una politica “a porte aperte”: chiunque può richiedere un sostegno in ogni momento, a patto che riguardi la salvaguardia e il benessere dei primati.

Il primo passo è sempre andare a vedere se un’organizzazione lavora in uno dei nostri scenari prioritari. Se non è così, normalmente non finanziamo, a meno che realizzi qualcosa di veramente interessante. Se invece opera in uno scenario prioritario, esaminiamo con attenzione obiettivi e attività, e ci incontriamo diverse volte per essere sicuri che siano coerenti con gli scopi dei nostri progetti. Per ogni beneficiario che ci contatta, convochiamo una riunione, discutiamo e poi decidiamo, in base alle nostre strategie, se il loro lavoro avrà un impatto sui nostri indicatori in questi scenari prioritari.

 

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