Strategie di corporate philanthropy: competenze core al servizio della comunità

L'intervista a Giovanna Bottani della STMicroelectronics Foundation

La STMicroelectronics Foundation è la fondazione d’impresa di STMicroelectronics, società di semiconduttori operante sul mercato mondiale. La Fondazione è nata nel 2001 con l’obiettivo di sostenere progetti che diffondano l’uso delle conoscenze informatiche: a questo fine è stato lanciato il  Digital Unify Program (DUP) per diffondere le potenzialità dell’informatica, mettendo a disposizione in aree remote equipment, connessione Internet e contenuti per la formazione informatica.

Secondo Internet Worlds Stat circa il 50% della popolazione mondiale non ha accesso a Internet, con forte discrepanze a livello regionale: se la percentuale in Nord America è di circa l’11%, la quota di popolazione esclusa sale al 71% in Africa.

Il DUP si basa sull’individuazione di partner locali con cui creare dei centri informatici per la formazione: sostegno di lungo periodo, copertura al 100% dei costi operativi,ottica di empowerment e ricerca della sostenibilità sono gli elementi chiave di un programma che dal 2003 ha formato oltre 400.000 ragazzi in 26 Paesi. Approfondiamo con Giovanna Bottani, Responsabile Operativo della STMicroelectronics Foundation, le logiche che guidano l’approccio filantropico della Fondazione, che ha deciso di far leva sugli asset chiave di STMicroelectronics creando un modello peculiare di corporate philanthropy.

Qual è la strategia di impegno a favore della comunità di STMicroelectronics Foundation?

STMicroelectronics Foundation nasce nel 2001 per rispondere a esigenze di good corporate citizenship e come segno tangibile dell’impegno di ST verso l’UN ICT Task force (iniziativa multi stakeholder lanciata da Kofi Annan, agli inizi degli anni 2000, per unificare gli sforzi globali nella lotta al digital divide).

La Fondazione diviene operativa nel 2003 con un focus nei cosiddetti “ST Countries” – cioè Paesi in cui la multinazionale ha i propri stabilimenti – essenzialmente per rispondere a esigenze della comunità raccolte su indicazione dei dipendenti e da realtà locali capitalizzando  le risorse interne per aiutare le comunità attraverso le competenze core di STMicroelectronics.

Negli ultimi cinque anni la Fondazione ha nettamente modificato il proprio approccio d’intervento: fino al 2011 oltre all’attività di apporto di know-how ed equipment era attivo anche un supporto più generico di risorse economiche, non necessariamente legato alla nostra missione di lotta al digital divide, con un 10% del budget che poteva essere allocato alla risposta di calamità o altre esigenze importanti. La decisione è stata di aumentare il nostro grado di focalizzazione, di diventare più strategici, concentrandoci solo sul digital divide. Per il nostro modello è raro erogare una tradizionale donazione: preferiamo coprire direttamente i running costs del programma, sostenendo tutte le spese dei partner con cui collaboriamo. Pensiamo che questo sia un modo più efficace ed efficiente, piuttosto che trasferire risorse economiche a organizzazioni che spesso non hanno i mezzi pe poter scegliere la miglior persona o il miglior preventivo. E nei casi in cui vengono effettuate donazioni monetarie teniamo comunque a massimizzare l’efficienza del processo: tipicamente abbiamo un Country Representative che coordina le erogazioni; inoltre preferiamo elargire i cosiddetti petty cash, cioè fondi di piccola cassa per coprire i costi giornalieri, a fronte dei quali richiediamo ogni mese o trimestre una rendicontazione dettagliata.

La decisione è stata di aumentare il nostro grado di focalizzazione, di diventare più strategici, concentrandoci solo sul digital divide

Quali sono le modalità di intervento del programma Digital Unify e come gestite l’empowerment dei vostri beneficiari?

In primo luogo abbiamo scelto di muoverci con un orizzonte temporale lungo, circa 6 anni. Una volta selezionato il partner, il primo momento di empowerment avviene prima ancora della creazione del centro, attraverso la formazione di manager, trainer, e direttori locali al fine di spiegare il programma, le logiche del digital divide, e le aspettative. L’obiettivo è instaurare da subito un processo di creazione di competenze: ad esempio alcuni dei nostri formatori dopo aver operato con noi per anni sono stati in grado di passare ad altre attività grazie alle competenze apprese.

Per i primi tre anni siamo attivi con supporto totale di tutti i costi operativi. Nella seconda metà della partnership, ci ritiriamo gradualmente dal punto di vista del supporto finanziario arrivando al 50% e bilanciamo questa situazione con un sostegno ad hoc del partner al fine di creare altri flussi di ricavi sostenibili, ad esempio modulando nuovi corsi di formazione avanzati da cui si possa generare reddito ecreando una mentalità business oriented. Al settimo anno ci ritiriamo – possiamo a volte rimanere presenti in background, ad esempio fornendo supporto tecnico, ma il sostegno economico cessa completamente.

L’obiettivo è creare empowerment e una mentalità business oriented affinché il programma diventi sostenibile senza il nostro supporto

Il tema della misurazione dell’impatto sociale è sempre più importante per gli enti erogatori che possono utilizzarlo per diversi obiettivi. Qual è il vostro approccio e quale ritiene siano i principali benefici della valutazione d’impatto?

Fin dall’inizio del programma siamo stati attenti a quelli che sono gli effetti sui nostri beneficiari finali, vale a dire gli studenti che frequentano i percorsi di formazione, creando una relazione quanto più 1:1 – nei limiti del possibile, dato che solo nel 2016 abbiamo formato più di  75.000 persone. Questo avveniva inizialmente attraverso una possibilità di open feedback al termine del percorso formativo. Ci siamo resi conto che questo non era sufficiente e quindi negli ultimi anni abbiamo implementato formulari di valutazione e interviste per ottenere un feedback qualitativo più completo sull’esperienza dei beneficiari con STMicroelectronics Foundation, sulla qualità della formazione e degli insegnanti. Questo ha aperto per noi dei nuovi scenari, portando all’aggiornamento e alla modifica dei nostri manuali e protocolli, ma ha anche avviato un momento di riflessione: nel 2015 siamo arrivati all’idea di condurre una vera valutazione del nostro impatto che coinvolgesse i nostri stakeholder in maniera più scientifica di quanto fatto finora. Si tratta di un percorso che abbiamo appena avviato, affidandoci a una terza parte in modo da implementare un processo di audit quanto più indipendente.

Gli obiettivi della valutazione d’impatto sono molteplici: il primo ovviamente è affinare il programma per creare sempre più cambiamento sociale positivo per i destinatari finali. Ma i benefici sono anche altri: da un lato un esercizio interno prezioso per portare alla luce i key stakeholder della fondazione. A volte, infatti, quando si è tropo focalizzati sui modelli operativi quotidiani si rischia di perdere di vista una serie di ricadute della propria attività di cui non si ha visione e che bisogna invece tenere presente.

Ovviamente c’è anche una questione esterna, di trasparenza e accountability – anche per altri potenziali partner. Questo è un tema emergente anche per le corporate foundation, spesso sottovalutato: in un momento di risorse limitate le fondazioni di impresa sono alla ricerca di partnership con altri enti, soprattutto erogatori, per mettere a sistema i propri budget e il tool della misurazione di impatto può essere un ottima carta da giocarsi per mostrare come si è in grado di creare valore aggiunto nel medio-lungo periodo e presentarsi in veste più professionale sul mercato.

Infine stiamo monitorando il tema dei Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite: vogliamo utilizzare il progetto di valutazione dell’impatto per vedere quanto la nostra attività si allinei con questi goal e target e mettere in campo eventuali azioni correttive laddove venga ritenuto necessario. È un punto che abbiamo tra le nostre priorità, ovviamente vedremo in itinere le evoluzioni di questa idea in base ai risultati che verranno evidenziati dal processo di valutazione.

La misurazione di impatto può essere un ottima carta per mostrare come si è in grado di creare valore aggiunto nel medio-lungo periodo e presentarsi in veste più professionale sul mercato

Quali sono in base alla sua esperienza i driver che possono motivare un’impresa a costituire una propria fondazione?

Per quello che riguarda STMicroelectronics, in primo luogo si trattava di tradurre operativamente un sistema di valori e una visione portata avanti dal precedente AD Pasquale Pistorio (ora Presidente onorario della Fondazione) che credeva fermamente nel dovere di un’azienda di essere un good corporate citizen. Per fare questo è necessario creare localmente un terreno fertile per costituire una buona relazione con le comunità, la logica del “buon vicinato”.

Sicuramente la presenza di una fondazione corporate è un elemento di motivazione per i dipendenti – nel caso di ST, le persone sono nella condizione di poter venire da noi sottoponendo casi “personali”, perché sono a conoscenza di situazioni di emergenza, portando le esperienze delle comunità in cui abitano, delle scuole in cui vanno i figli, o delle organizzazioni in cui fanno volontariato. Quindi si crea un senso non solo di fiducia con la fondazione ma nei confronti della stessa ST che permette quest’attenzione ai contesti che circondano l’azienda stessa e che arrivano a tutti i dipendenti. Ad esempio, un operaio di Agrate di origini senegalesi ci aveva indicato una possibilità di attività in Senegal nel 2007, e STF ha aiutato questa persona a realizzare questo piccolo sogno per il suo Paese. Questo è un valore per l’azienda perché mostra attenzione per il dipendente e per la sua sfera sociale, contribuendo a creare un clima che porta il dipendente a lavorare con maggior impegno.

Un altro elemento da non trascurare è la possibilità di veicolare l’expertise esternamente e capitalizzare le abilità delle nostre persone per dare risposta a problematiche sociali in determinate comunità in cui si opera, attraverso modalità di volontariato cosiddetto skills-based.

Le attività della corporate foundation sono un valore per l’azienda perché mostrano attenzione per il dipendente e per la sua sfera sociale

Per ulteriori informazioni: http://www.stfoundation.org

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