Intervista a Don Gino Rigoldi

A fine maggio è stata presentata la Fondazione Don Gino Rigoldi che nasce per stimolare e sostenere progetti dedicati alla crescita e alla formazione dei giovani. Ne abbiamo parlato con Don Gino, nell’intervista che riportiamo di seguito in cui racconta gli obiettivi e le attività della Fondazione, mantenendo uno sguardo attento sul contesto italiano e riflettendo sui driver che caratterizzano il Terzo Settore e i nuovi strumenti della finanza sociale.

La sua nuova fondazione come s’inserisce nel suo progetto a favore della comunità e con quali finalità nasce?

La nuova Fondazione Don Gino Rigoldi rispetta la vita e le caratteristiche delle altre due realtà che sono Comunità Nuova e Bambini in Romania che proseguiranno con le proprie attività. Questa fondazione dovrebbe essere un luogo di aggregazione per avvicinare tante persone alla nostra mission, i.e. aiutare giovani svantaggiati, tenendo un forte focus sul tema dell’educazione perché siano accompagnati nel loro percorso di creazione della propria identità e del proprio futuro. Un bisogno sempre più attuale che noto nei giovani, conoscendone diverse migliaia da tanti anni, cioè la mancanza di persone che indichino loro la giusta strada. Ovviamente cerchiamo anche persone che possano darci un supporto economico nel nostro lavoro. E visto che si è più forti insieme, potrebbe essere l’opportunità per lanciare eventi straordinari che promuovano le nostre iniziative.

Quali sono i prossimi passi per la Fondazione?

Entro il 2015 vorremmo implementare un grosso progetto di formazione alla relazione per gli insegnanti. Esistono tanti metodi didattici che pongono l’accento su diversi aspetti, più o meno condivisibili, ma noi crediamo che una cosa sia fondamentale, un aspetto che sta dietro alla Costituzione e al Vangelo, cioè la capacità di relazione e di dar valore agli altri.

Il mio sogno con questa Fondazione sarebbe di realizzare una scuola tecnica professionale, per es. per 1000 ragazzi, con attività rilevanti di formazione sulla relazione per i ragazzi, per gli insegnanti, per i genitori, promuovendo scambi per andare a vedere cosa succede in una scuola dove tutti aumentano veramente le proprie capacità relazionali, sviluppando il piacere di essere un gruppo, un’équipe.

Tutto questo ovviamente si dovrà basare su una rete di connessione tra soggetti diversi e richiederà risorse notevoli, quindi la Fondazione potrà mobilitare queste risorse e attivare questi meccanismi che vanno oltre quello che è stato il nostro tradizionale focus fino ad oggi di incontrare giovani in difficoltà.

Inoltre, vorremmo promuovere Garanzia Giovani, che finora ha toccato diplomati e laureati e non i ragazzi dei quartieri, creando dei punti di aggregazione che possano raccogliere le richieste, sia per dare indicazioni e indirizzo che per creare masse accettabili. Mi spiego: se il singolo s’iscrive, per es. con la volontà di fare l’idraulico, non organizzeranno certo il corso per una persona; servono gruppi di giovani e noi andremo a costituirli, identificando alcune professionalità e facendo un lavoro di accompagnamento e di rafforzamento dell’autostima di questi ragazzi.

In quest’ottica, sembra fondamentale avviare un forte rapporto con le imprese…

Sicuramente, bisogna sempre ricordarsi che le grandi idealità muoiono se non si ha da mangiare. Io al Beccaria cerco di convincere i ragazzi che non devono rubare o rapinare, ma ho ben chiaro che questi ragazzi quando escono hanno bisogno di un lavoro, di una casa, di una compagnia. Ovviamente parlando di scuole professionali faremo in modo di rafforzare i rapporti con le imprese, per far interagire i ragazzi con il mondo del lavoro favorendo passaggi in azienda, tirocini formativi, comunicazione di pensiero e logiche.  Magari non consegneremo ai ragazzi un posto di lavoro, ma una competenza sì.

In questo momento, in cui diminuiscono le risorse pubbliche, quali sono i driver perché il Terzo Settore possa continuare a supplire laddove lo Stato non può arrivare?

Sicuramente una maggiore professionalizzazione e un forte dialogo con le aziende.

Per esempio noi abbiamo avuto una svolta come Comunità Nuova quando a un certo punto ci siamo detti: stiamo crescendo, dobbiamo metterci in un’ottica di previsione accurata delle spese, di bilancio competente ecc. Abbiamo avuto l’aiuto di miei amici, ex amministratori delegati di aziende, per le parti tecniche. E abbiamo imparato da chi ha sempre fatto queste cose.  Ma anche sul lato operativo: ad esempio con i Community Day, (i.e. volontariato aziendale – NdA) che sono opportunità per dare il via ad una relazione, per successive donazioni (monetarie o in-kind) o altre collaborazioni.

Come vede il fenomeno dell’impact investing, può essere un’opportunità per le Fondazioni di sviluppare un impatto supplementare?

Credo di sì, anche se per determinate operazioni bisogna avere certe dimensioni. Ad esempio con il progetto di housing sociale AbitaGiovani che porto avanti con Fondazione Cariplo, parliamo di 300-500lotti, un’operazione per cui serve una disponibilità di 50-60 milioni. Il presidente Guzzetti quando mi vede in giro mi guarda preoccupato e dice agli altri di non sedersi vicino a me: “E’ pericoloso!”.

Ma queste sono iniziative che risolvono la vita a questi ragazzi: noi miriamo a dare 70/80 m2 ristrutturati a 300 euro al mese a Milano e a Roma, potranno fare un figlio, avere una vita autonoma, e non mi sembra poco soprattutto in questo periodo. Inoltre si riesce a creare una comunità in questi quartieri, con servizi come gli asili. E sono investimenti che rientrano. Sottolineo: investimenti,  quindi parliamo di qualcosa che non sostituisce ma può essere complementare alla filantropia.

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