Fondazioni di comunità. Strumenti e strategie per un nuovo welfare

In un'intervista esclusiva, Bernardino Casadei presenta in anteprima il suo ultimo libro, approfondendo sviluppo e potenzialità della filantropia di comunità.

Fondazioni di comunità. Strumenti e strategie per un nuovo welfare

A fine 2014 si è celebrato a Cleveland il centenario mondiale delle fondazioni di comunità, fenomeno nato negli Stati Uniti ma sempre più diffuso a livello globale (oltre 1400 realtà di cui più del 50% fuori dagli USA). 

Abbiamo approfondito dimensioni e prospettive del settore italiano con Bernardino Casadei di Fondazione Cariplo, punto di riferimento sul tema dello sviluppo delle fondazioni di comunità e dell’intermediazione filantropica. Per Casadei, la filantropia di comunità rappresenta “un’opportunità che possiamo ancora cogliere” per contribuire a ricostruire un welfare catalizzando risorse e creando partecipazione per conseguire obiettivi condivisi. 

Nel suo ultimo libro, “Le fondazioni di comunità. Strumenti e strategie per un nuovo welfare” (Carocci Editore) in uscita oggi, ha raccolto vent’anni di esperienze, attività e scritti – molti dei quali inediti – da quel primissimo articolo del 1996 che ha dato origine alla filantropia di comunità in Italia. 

A cent’anni dalla nascita della filantropia di comunità, a che punto siamo in termini di dimensioni e sviluppo del settore?

La filantropia di comunità è a livello mondiale il settore in massima crescita della filantropia istituzionale. Dopo la loro introduzione in Italia   nel 1999, il ruolo delle fondazioni di comunità (FC) è cresciuto, tanto che fino a pochi anni fa il Paese era considerato uno dei leader indiscussi in tale ambito, arrivando nel 2009 a essere il terzo Paese al mondo per patrimonio detenuto dopo USA e Canada.

Da allora però c’è stato un forte declino: se durante il 2008 le FC promosse da Fondazione Cariplo avevano raccolto oltre14 milioni di euro, nel 2013 tale valore si è ridotto a 7.8(-44%) e in generale il numero complessivo di realtà (circa 32 in Italia – n.d.r.) è cresciuto di pochissime unità, mentre nello stesso periodo in Germania ne sono nate 72 nuove.

Questo fa riflettere: attribuire questo mancato sviluppo al ruolo della crisi non regge, perché le donazioni cui dovrebbero mirare queste fondazioni sono aumentate. Le FC – in qualità di intermediari filantropici che mettono in outsourcing la propria infrastruttura per realizzare progetti filantropici in alternativa alla creazione di una nuova fondazione – guardano infatti alle grosse donazioni e in periodi di crisi normalmente chi ha questo genere di capitali si attiva maggiormente. Del resto è indicativo che il numero di fondazioni private sia invece cresciuto in modo consistente: nello stesso periodo, le fondazioni associate ad Assifero sono infatti, infatti, passate da meno di 20 a quasi 100.

Ma come si motiva questa perdita di appeal delle fondazioni di comunità?

In primis è una questione di percezione.  Mi spiego: in Germania, capendo che lo sviluppo della filantropia di comunità era d’interesse per la filantropia istituzionale – perché la democratizza avvicinandola alle persone – è nata un’infrastruttura di supporto a livello nazionale. In Italia, invece, il fenomeno è stato interpretato come semplice strumento di riorganizzazione territoriale interna di Fondazione Cariplo – è chiaro che questo non crea interesse e porta erroneamente a credere che le FC possano sorgere solo con la presenza di una grande fondazione di origine bancaria alle spalle.

In secondo luogo, è la mancanza di un supporto ad hoc. Nel momento in cui ho lasciato la gestione del progetto per diventare segretario di Assifero , la Fondazione Cariplo ha messo a disposizione delle FC dei validi consulenti esperti nei vari ambiti (fundraising, gestione ecc.), ma le specificità dell’intermediazione filantropica su cui si basano le FC non hanno permesso di sfruttare al meglio tali opportunità.

È il caso, ad esempio, del fundraising, che come insegna l’esperienza internazionale non può essere applicato alle FC, ma deve essere profondamente ripensato tanto che in altri Paesi si parla di fund development, un approccioin cui si cerca di valorizzare specialmente le relazioni con un ricorso marginale al marketing.

Quindi in Italia non esistono presupposti di base favorevoli?

Paradossalmente, l’Italia è in condizioni particolarmente favorevoli per lo sviluppo della filantropia di comunità, per diversi motivi.

  1. Intanto perché abbiamo avuto un’esperienza endogena di successo:  le FC in Lombardia hanno dimostrato di saper raccogliere cifre molto importanti, superando, in alcuni casi, i 2 milioni di euro a testa all’anno, un dato che dimostra la fattibilità del modello.
  2. E’ nata Assifero come associazione di categoria che potrebbe essere un modo per offrire servizi a questo genere di organizzazioni come fatto in Germania.
  3. La Fondazione Italia per il Dono può svolgere due ruoli importanti di supporto: 1) operare su tutto il territorio nazionale per promuovere le FC in tutta Italia e 2) agire da incubatore per far partire una FC, soprattutto in termini di competenze necessarie. Si può creare al suo interno un fondo, partendo subito con i servizi e strutturando un ente autonomo dopo un periodo di “rodaggio”, come fatto a Acqui Terme e in Val di Susa.
  4. Infine possiamo contare sull’unico sistema informativospecificatamente pensato per questa tipologia di enti esistente in Europa continentale, i.e. il SIF (Sistema informativo per la filantropia).

In termini di potenzialità, siamo probabilmente il Paese più promettente al mondo. Manca un coordinamento e un disegno complessivo che vadavadano al di là dei singoli obiettivi specifici affinché le FC siano di beneficio per tutto il Paese. E soprattutto la volontà politica di renderlo un fenomeno pubblico: ricordo che le fondazioni tedesche, che avevano una capacità di fuoco minima rispetto alla nostra, rientravano nei discorsi di tutte le autorità tedesche compreso il Presidente della Repubblica! Noi abbiamo avuto sempre un basso profilo e paradossalmente se ne parlava più all’estero che in Italia, con casi di studio e riconoscimenti: il progetto FC promosso dalla Fondazione Cariplo era stato selezionato dal Centro per l’investimento sociale dell’Università di Heidelberg come uno dei migliori esempi della filantropia europea ad alto impatto nel campo della partecipazione sociale e dell’integrazione.

Com’è nata l’idea di questo libro e qual è il suo focus?

Rappresenta il mio lascito alle fondazioni di comunità, una sintesi di vent’anni di esperienze e scritti, che ho voluto sistematizzare e mettere a disposizione del pubblico. Si struttura in 4 parti:

  • un’introduzione alla filantropia e alle FC;
  • un approfondimento sulle ragioni della crescita, evidenziando obiettivi e logiche dei servizi tipici erogati – in particolare per quanto riguarda possibili benefici alle imprese e di chi si confronta con il “dopo di noi”;
  • un focus sulla missione che è qualcosa che, andando al di là del semplice ruolo di catalizzatore di risorse, si traduce nella vera promozione di una cultura del dono come risposta alle esigenze della persona, per soddisfare i bisogni individuali di senso e di relazione.
  • Infine, l’impatto collettivo, e quindi il ruolo che le FC possono avere per permettere effettivamente alla società civile di organizzarsi, di strutturare le risorse e didisegnare il proprio futuro esprimendo la propria cittadinanza. Questo è fondamentale in una società in cui spesso ci sentiamo impotenti, impossibilitati ad apportare cambiamenti: le FC possono aiutarci a mettere insieme risorse per creare cambiamento, costruire una prospettiva e una fiducia che manca e che oggi la politica non dà.

Qual è la sua speranza, o il suo timore?

Rischiamo di perdere una marea di risorse: siamo in un periodo di crisi eppure la nostra è una società ricchissima oggettivamente parlando. Com’è possibile che una società così ricca non sappia dare risposta a problematiche fondamentali? A mio avviso perché le risorse sono disperse e polverizzate – in termini sia di risorse economiche che di competenze specifiche oggigiorno fondamentali. Come per gli agenti chimici: le polveri unite creano la dinamite, separate non fanno nulla. Ci sono sprechi immensi e servono dei catalizzatori che aggreghino risorse e plasmino una cultura di partecipazione, una gioia del contribuire alla creazione di benessere collettivo che aiuti a ricreare il welfare e darci una prospettiva.

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