Quale ruolo per le fondazioni negli investimenti d’impatto?

In occasione del lancio della European Impact Investing Platform, abbiamo approfondito opportunità e limiti in Italia con Mario Calderini

Quale ruolo per le fondazioni negli investimenti d’impatto?

Durante il convegno “Nuove opportunità per il mondo dei fondi d’investimento: l’impact investing“, organizzato da Selectra in partnership con Deloitte, è stato annunciato il lancio della European Impact Investing Platform (EIIP), prima piattaforma in Italia a disposizione di promotori istituzionali per la costituzione di fondi in grado di generare non solo un ritorno ma anche un impatto sociale e ambientale.

Quest’iniziativa spiana la via al mondo della finanza d’impatto, aprendo nuove opportunità di investimento, con i due primi comparti impact dedicati a social housing e green techonology & energy. Ma, se sul lato dell’offerta di capitali questo rappresenta un passaggio importante e un’ulteriore strutturazione di veicoli a disposizione per gli investimenti d’impatto, il punto fondamentale è comprendere quanto l’ecosistema italiano sia pronto, quali siano i gap che ancora frenano l’affermazione a livello mainstream del settore, e che ruolo potranno giocare Terzo Settore, Fondazioni e imprese.

Ne abbiamo discusso con il professor Mario Calderini, relatore del convegno, Professore Ordinario al Politecnico di Milano e rappresentante italiano alla Task Force del G8 sull’Impact Investing.

Professor Calderini, quale ritiene essere il potenziale in Italia per la finanza d’impatto e quali i possibili gap da colmare,  in particolare tra domanda e offerta d’investimenti d’impatto?

Ovviamente penso che il potenziale sia molto alto, perché vedo contemporaneamente fermento sul lato dell’offerta (fondi, iniziative di banche, strumenti specifici, raccolte importanti com’è stata quella di Oltre Venture) e, dall’altro, ancora pochi segnali concreti ma accompagnati da alcuni driver fondamentali che ci lasciano presagire che la domanda crescerà in maniera esponenziale.

Si tratta di una complessa combinazione di alcuni fattori, come l’arretramento delle politiche di welfare, le nuove disponibilità tecnologichel’emergere di grandi problemi sociali… che un soggetto, secondo me ancora non perfettamente definito (non profit evoluto o profit che si trasforma), dovrà cogliere. Per farlo dovrà forzarsi e capitalizzarsi: questo per me sarà il grande mercato della finanza d’impatto.

I gap, invece, sono di varia natura: in primis sicuramente c’è un problema, che anche oggi è stato rilevato, d’infrastruttura di misurazione. Non è solo una questione di tecniche ma anche e soprattutto di trust e di terze parti che siano in grado di dare credibilità all’esercizio di misurazione. Qualcuno parla di certificazioni, di standard, di agenzie indipendenti… quello che è certo è che ciò che può dar senso a questo mercato è la misura. Quindi, finché non riusciremo a evolverci sia nelle tecnicalità della misura sia nel concetto di assurance, non andremo da nessuna parte.

In secondo luogo, c’è un problema d’infrastruttura normativa; dopo aver sottolineato come non sia scontato che sarà l’attuale terzo settore il protagonista fondamentale di quest’evoluzione, è però certo che l’esito finale della Riforma del Terzo Settore e l’infrastruttura normativa che ne conseguirà saranno sicuramente fattori cruciali, ad esempio in termini di distribuzione di dividendi e riconoscimento degli stakeholder nella governance. Certo, non basta questo a far crescere il terzo settore a una scala che possa rappresentare una domanda sufficiente per far esplodere il mercato impact in Italia – teniamo conto che l’impresa o l’imprenditore socialmente orientato affrontano i problemi di crescita tipici di tutte le imprese. Knowledge management, gestione delle tecnologie e dello sviluppo… per le attività di business socialmente orientate queste sono ancora parole prive di significato.

Parlando proprio della Riforma del Terzo Settore, in particolare in materia di impresa sociale, vede segnali positivi in questo senso?

No. Ho visto una discreta partenza, soprattutto in termini di riconoscimento della centralità dell’impatto seguita, però, da una fase di emendamenti che vanno esattamente nella direzione opposta – a mio avviso inutilmente e anacronisticamente.

In questo ecosistema, quale ruolo possono giocare le fondazioni? Crede che l’impact investing si porrà come approccio alternativo o complementare al grant più tradizionale?

Noi non conosciamo ancora fino in fondo la faccia che avrà veramente l’impact investing e quindi, a mio avviso, le fondazioni saranno i player fondamentali che potranno dare un’interpretazione compatibile con il welfare nazionale, con la realtà dell’impresa sociale, con la tradizione mutualistica… Sono convinto che l’impact investing uscirà dalle fondazioni, cioè dal modo in cui questi soggetti sapranno interpretarlo. Poi, è chiaro, parliamo di un ecosistema estremamente variegato nel panorama nazionale; sarebbe però molto importante che le fondazioni cominciassero a sperimentare, attraverso piccole quote del loro patrimonio, avviando alcuni modelli pilota che possano fungere da dimostratori. Questo è l’unico modo per far crescere modelli compatibili con la realtà nazionale.

Si parla di un ruolo anche per le imprese nel settore dell’investimento d’impatto (corporate impact investing). Però, soprattutto in Italia, c’è ancora molta difficoltà se consideriamo che gli interlocutori di riferimento (l’anima CSR o quella finance) generalmente non riescono a incontrarsi. Quale può essere lo sviluppo?

Su questo versante, penso che siamo ancora abbastanza indietro. La verità, in termini della fotografia generale più accurata (ovviamente con fortunate eccezioni), è quella di grandi corporation ancora impegnate a far evolvere la loro CSR in una direzione di confluenza con il core business (pratiche di inclusive business e/o allineamento strategico delle attività delle fondazioni corporate con il business dell’impresa – N.d.R.): prima deve avvenire questo processo di convergenza e di evoluzione a una CSR 2.0, poi questa confluenza potrà essere strumentalizzata anche con il corporate impact investing.  Ma a mio avviso parliamo di uno scenario ancora abbastanza lontano.

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