La Leap Ambassador Nancy Roob, CEO della Edna McConnell Clark Foundation, annuncia la Blue Meridian Partners Initiative

L'analisi del rivoluzionario esempio di collaborative philanthropy nato per sostenere le high-performing organizations del settore non profit

Pochi giorni fa Nancy Roob, CEO della Edna McConnell Clark Foundation  (EMCF) e Leap Ambassador, ha annunciato la nascita di una rivoluzionaria iniziativa di collaborative philanthropy che fornirà la più grande iniezione di capitali privati di crescita a organizzazioni non profit a sostegno di bambini e giovani con l’obiettivo di consolidare la loro capacity in termini di efficacia operativa, efficienza organizzativa e potenza di advocacy. Quest’iniziativa senza precedenti può essere un punto di partenza per aumentare la consapevolezza dal lato funders della necessità di investire nelle organizzazioni non profit per generare impatto sociale, facendo leva sui suoi principali punti di forza.

Esaminiamo di cosa si sta parlando.

LA BLUE MERIDIAN PARTNERS INITIATIVE – DI COSA SI TRATTA

La Blue Meridian Partners Initiative, costituitasi sotto l’egida della EMCF, vede la partecipazione iniziale di 10 grandi donatori (fondazioni e/o filantropi) che mirano a raccogliere almeno $1 miliardo di capitale filantropico destinato al sostegno di organizzazioni high-performing. Il finanziamento alle organizzazioni avverrà, infatti, attraverso major grant (circa $200 milioni cadauno) a lungo termine (5-10 anni) non vincolati e collegati alla crescita dimostrabile della performance organizzativa.

In un momento in cui i giovani hanno urgente bisogno di aiuto, è per me frustrante osservare quanto sia difficile anche per i migliori leader non profit far crescere le proprie organizzazioni per rispondere a queste necessità” afferma Nancy Roob annunciando la Blue Meridian Partners Initiative. “Stiamo drammaticamente sotto-investendo in soluzioni efficaci”.

La Fondazione è stata tra i pionieri del grant making illuminato dai dati, cominciando dagli anni ’90 lo stanziamento di major grant non vincolati a supporto delle onp, con l’obiettivo esplicito che le organizzazioni avrebbero dovuto conseguire obiettivi concordati di aumento dell’efficacia e di espansione del raggio d’azione programmatico.

Al momento, Blue Meridian ha già raccolto $750 milioni: 6 “general partners” hanno garantito almeno $50 milioni e aiuteranno nella selezione e nel monitoraggio delle organizzazioni beneficiarie. Una coppia – Stanley Druckenmiller (in precedenza gestore di hedge-fund) e la moglie Fiona; e cinque enti erogatori (oltre la EMCF, si tratta della George Kaiser Family Foundation, della Samberg Family Foundation, del Duke Endowment, e del Ballmer Group di Steve Ballmer, ex CEO della Microsoft)).

4 i “limited partners” con un impegno compreso tra i $10 e i $50 milioni: sono le fondazioni di famiglia Willam and Flora Hewlett, JPB, David and Lucile Packard, e Lynn Schusterman.

PERCHÉ È IMPORTANTE

High-performance. Gli investimenti di Blue Meridian Partners sono esplicitamente pensati per incoraggiare e sostenere il concetto di high performance. La filosofia del modello inoltre è orientata a lasciare alle organizzazioni la flessibilità e la libertà per accrescere il loro impatto, attraverso un procedimento che veda, in primis, un’auto-analisi dei propri gap interni su cui investire.  Una decisione in netta rottura con gli schemi tradizionali di erogazione, come riporta Nancy Roob: “Tipicamente noi finanziatori forniamo alle non profit capitale a malapena sufficiente a coprire i salari, figuriamoci parlare di training, innovazione e crescita. Capitale che è, inoltre, sempre vincolato a programmi rigidi e con risultati di breve termine.

Impatto, non costi di gestione. Si tratta di un fenomeno che negli USA sta ricevendo stimoli da più attori: ne sono un esempio la Leap Ambassadors Community, cresciuta in un anno a oltre 100 esponenti; l’iniziativa “Moneyball for Government” per indirizzare l’allocazione dei fondi statali in base a comprovate dimostrazioni di efficacia; o il recente annuncio di Darren Walker (presidente della Ford Foundation) che, in opposizione a una logica totalitaristica che identifica nei costi di gestione una prova di spreco e diluizione di risorse, ha rivisto dopo 70 anni le policy erogative della fondazione prevedendo un aumentato sostegno alla voce “overhead” (dal 10 al 20%).

Attrazione di risorse.  L’iniziativa non si caratterizza come “club esclusivo” ma è aperto ad altri partner interessati a contribuire a tutto il modello o a specifici progetti. Questa decisione non solo apre la porta a nuovi capitali capaci di aumentare ulteriormente le ricadute sul settore sociale; ma lasciando la possibilità di aderire a particolari aree di interesse, promette di far nascere un movimento più generalizzato a favore del sostegno alla crescita delle organizzazioni non profit efficaci. Inoltre, se finanziatori privati hanno già lavorato insieme per radunare risorse in larga scala in aree quali la salute e l’ambiente, questo livello di capital aggregation è una novità per quanto riguarda il sostegno a non profit attive a favore dei giovani. La EMCF è riuscita a riunire un’interessante miscela di fondazioni consolidate e di nuovi player privati, un fattore che incrementa il potenziale attrattivo per ulteriori risorse. Da un lato dal settore della filantropia istituzionale, visto il track record consolidato delle organizzazioni già presenti; dall’altro, da filantropi privati alla luce del crescente movimento del “giving while living” (si veda l’iniziativa The Giving Pledge che ad oggi conta 138 membri).

Importanza dei “big bets”. Nonostante non ci siano prove scientifiche della correlazione tra il “successo” di una non profit e la grande donazione filantropica, l’evidenza empirica spinge a favore di questa tesi, sia per quanto riguarda le organizzazioni (si veda il libro Forces for Good, dove gli autori esaminano centinaia di organizzazioni identificandone 12 sulla base di numerosi criteri di successo; di queste 12, 11 avevano ricevuto almeno una grande donazione), sia per quanto riguarda i movimenti  (come si evince da una ricerca di Bridgespan in cui, in oltre il 70% dei più celebri movimenti sociali a partire dagli anni ’60 vanta all’attivo almeno un’erogazione trasformativa).
A fronte di queste evidenze e dell’immaginario collettivo, il settore sociale (americano) è drasticamente a corto di questo genere di big bets. Tra il 2000 e il 2012, solo il 20% delle grandi donazioni è stato allocato a organizzazioni che hanno come obiettivo il cambiamento sociale (es. servizi umani o cooperazione), mentre l’80% è andato primariamente a università, ospedali e istituzioni culturali – ovviamente importanti per la società ma meno tese al risolvimento di problematiche sociali e capaci di attirare risorse in modo più stabile (un esempio su tutti: il caso degli alumni dei college)* (esclusa la Bill Gates)

Decision-making condiviso. La EMCF ha lanciato un messaggio forte condividendo i processi di decision-making: anche se incuberà e gestirà l’iniziativa, il suo voto in CdA varrà uno come gli altri, condividendo in via paritetica le decisioni sul come e dove investire, e su monitoraggio e valutazione dei risultati in vista di nuove allocazioni. Nonostante già in passato la Fondazione si sia mossa per aggregare capitale da player diversi, si tratta di un’assoluta novità che esprime una profonda consapevolezza alla luce dello scenario attuale, espressa sinteticamente da Nancy Roob: “Non possiamo farcela da soli”.

CONCLUSIONI

L’iniziativa Blue Meridian Partners promette di diventare un caso esemplare di filantropia trasformativa catalitica: come rileva Phil Buchanan, presidente del Center for Effective Philanthropy “La storia della filantropia ci insegna che il vero progresso sulle sfide sociali più pressanti richiede la collaborazione tra più filantropi e organizzazioni”.

La collaborazione non è nuova, e il settore sociale è ricco di esempi di partnership, network e sforzi condivisi. Ma in questo caso si tratta di un modello nettamente differente, e non solo per la taglia dell’investimento prospettato ma perché risponde in pieno alle logiche del collective impact. Siamo davanti, infatti, a un cambio di mentalità.  La Stanford Social Innovation Review scrive nel suo articolo Catalytic Philanthropy: “Mobilitare e coordinare diversi stakeholder è un lavoro molto più complicato e lento rispetto al sostegno alla singola organizzazione. Il cambio sistemico, ciò nonostante, dipende in fin dei conti dalla ricerca continua di un’accresciuta capacity e di coordinamento di un intero settore”.

La Blue Meridian Partners Initiative non si caratterizza solo per essere un finanziamento collettivo (senza precedenti) a sostegno del capacity building ma racchiude in sé il potenziale per influenzare le logiche del sistema erogativo privato in generale. E per fare questo ha messo in piedi tutti i requisiti richiesti dal collective impact: un’infrastruttura centralizzata (i.e. backbone organization), uno staff dedicato, un processo strutturato capace di guidare le azioni in base a un ‘agenda condivisa, sistemi di misurazione comuni, comunicazione continua, e attività mutualmente rinforzanti.

Certamente uno sforzo così ambizioso incontrerà necessariamente molte sfide nel suo percorso, come ad esempio trovare non profit in grado di ricevere questo livello d’investimento, riuscire a misurare e comunicare in modo oggettivo i risultati conseguiti, affrontare e superare i fallimenti che ovviamente il programma dovrà registrare in certi casi, e – last but not least – mantenere partecipi e coinvolti a lungo termine un gruppo (auspicabilmente crescente) di grandi donatori.

Ma, in attesa di documentare i risultati che l’iniziativa sarà in grado di conseguire, vale la pena chiudere con le parole di Nancy Roob: “Senza grandi investimenti di lungo periodo per far crescere organizzazioni efficaci, continueremo a mitigare ma non a risolvere le vere problematiche che affliggono la nostra società”.

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