Oltre la CSR: l’impact investing per generare impatto sociale e aprire nuove opportunità di business

Ne parliamo con Patrick Elmer, Head of Business Development di BlueOrchard e relatore al IV Corso Executive in Social Impact Investing (6-7 ottobre)

Oltre la CSR: l’impact investing per generare impatto sociale e aprire nuove opportunità di business

BlueOrchard è il primo asset manager nell’area della microfinanza. Nato a Ginevra nel 2001 su iniziativa delle Nazioni Unite, opera per collegare investitori con organizzazioni e imprese ad alto impatto sociale e promuovere modelli di crescita inclusiva alla Base della Piramide.

Con Patrick Elmer, Head of Business Development di BlueOrchard, abbiamo discusso leopportunità dell’impact investing per le fondazioni – per potenziare le modalità di generazione dell’impatto sociale in linea con la propria mission – per le imprese – in termini di potenziamento delle iniziative di CSR e possibilità di business development in mercati ad alto potenziale – e per le ONG – in qualità di implementatori e incubatori di modelli imprenditoriali ad alto impatto.

Gli investimenti ad impatto stanno trovando sempre più spazio tra gli investitori e a livello di copertura mediatica. Qual è a suo avviso il ruolo dell’impact investing e perché questa crescita di attenzione proprio in questo momento? 

A mio avviso siamo davanti a quello che in inglese viene definito un paradigm shift: ossia una nuova presa di coscienza che la finanza può e deve giocare un ruolo chiave per realizzare obiettivi non solo economici ma anche sociali.

È un passo fondamentale in questo particolare momento storico per una serie di motivi: in primo luogo per l’enorme numero di persone sotto la soglia di povertà, nonostante i progressi registrati negli anni (1.3 miliardi di persone che vivono con meno di $1.25 al giorno nel 2011 rispetto a 1.91 miliardi nel 1990 e 1.93 nel 1981, secondo la World Bank 2015 – n.d.r.); poi alla luce dei nuovi target delle Nazioni Unite, i Sustainable Development Goals, che necessiteranno enormi quantità di capitali stimati a circa 2.5 trilioni di dollari per anno; infine, per i limiti strutturali del mondo della filantropia e della cooperazione che, nonostante svolgano un lavoro fondamentale, non hanno sufficienti risorse per risolvere da soli problemi sociali e/o ambientali.

Ecco quindi il ruolo imprescindibile del settore privato che, attraverso le piccole-medie imprese nei Paesi in via di sviluppo, può essere una fonte continua e sostenibile d’innovazione, di produzione e distribuzione di beni essenziali nonché d’impiego.

Quali sono a suo avviso gli stakeholder chiave che possono giocare un ruolo forte nell’impact investing?

Il settore più importante a livello di masse di capitale sono gli  investitori istituzionali, come per esempio le casse pensioni e assicurazioni, che hanno innanzitutto un obbligo fiduciario di generare rendimento finanziario. In questo contesto di tassi di interesse bassi e alla luce dei rendimenti positivi – nonché del fatto che si tratta di investimenti nell’economia reale – decidono sempre più di attivarsi in investimenti impact. Ne è un esempio AXA che ha fatto un grande commitment pubblico con diversi fondi.

Gli HNWI, mostrano grande interesse: si tratta spesso di imprenditori che conoscono in prima persona l’importanza – e spesso la difficoltà – di ottenere l’accesso al credito e che ne apprezzano i benefici in termini di ritorno finanziario ormai consolidato, bassa volatilità, diversificazione rispetto ai mercati azionari e obbligazionari.

Anche le imprese si stanno sensibilizzando su questo settore: in primis, ovviamente, i player finanziari come banche e assicurazioni. Diverse imprese multinazionali hanno lanciato iniziative strategiche d’impact investing, come Unilever, Schneider Electric, Danone, Louis Dreyfus. Si tratta di soggetti che hanno identificato dei limiti nella CSR convenzionale e che, con l’impact investing, vogliono attivarsi all’interno del proprio core business per potenziare le possibilità di essere competitive nel lungo termine, creando al contempo impatto sociale e rafforzando la propria reputazione. Ad esempio Unilever, che per alcuni dei sui prodotti chiave dipende dal sourcing di materie prime nei Paesi emergenti, si è resa conto delle crescente importanza di mantenere relazioni solide e di qualità con i produttori locali alla luce di una crescente competizione: finanziandoli riesce a legarli maggiormente a sé consolidando al contempo una reputazione di brand attento alle implicazioni sociali.  C’è anche un risvolto in tema di innovazione, sviluppo di nuovi business model, e apertura di nuovi mercati: le assicurazioni spesso investono in Paesi emergenti in società assicuratrici locali, ottenendo un ritorno finanziario e monitorando da vicino le innovazioni a livello di canali di distribuzione (es. mobile banking) e prodotti (es. assicurazione climatica) in questi Paesi. Si tratta di iniziative di CSR business-relevantdove il confine tra CSR e business development è spesso molto sottile.

Troviamo poi anche le fondazioni che decidono di attivarsi su temi vicini alla propria missione, potenziando con il loro patrimonio e l’impact investing le attività normalmente sostenute con le donazioni.

Sono convinto che si aprano grandi opportunità anche per le ONG, su diversi livelli. Innanzitutto sono moltissime le ONG che hanno grandi competenze e fortissimi brand: l’impact investing può essere una chiave per avviare collaborazioni con asset manager e/o banche, in cui la ONG mette la propria expertise su temi di interesse. Come nel caso di OXFAM International, che ha lanciato un fondo per finanziare le piccole e medie imprese nei paesi più poveri e creare impiego. E grazie a queste collaborazioni le ONG possono avere una fonte di entrata per finanziare le proprie attività. Non bisogna poi scordare i Social Impact Bond, dove sono le non profit, spesso ONG, a implementare i progetti e ad essere remunerate per questo.

L’impact investing per le imprese è un’opportunità di avviare iniziative business-relevant dove il confine tra CSR e business development è molto sottile.

Dal vostro osservatorio quali sono i key trends che stanno definendo il settore? 

In primis va sottolineata l’enorme massa di capitali disponibili – complessivamente il sistema finanziario gestisce più di 200 trilioni di dollari – che a poco a poco sta trovando la via dell’impact investing perché ci si rende conto che i Sustainable Development Goals possono essere raggiunti solo con l’avallo del settore privato e inoltre che obiettivi finanziari e sociali possono in varie opportunità andare di pari passo.

In questo senso emergono anche collaborazioni importanti e particolari tra attori che normalmente si guardano con un certo scetticismo, come tra rappresentanti del settore sociale, privato e pubblico. ‘Blended finance’ è un nuovo termine emerso recentemente per descrivere l’uso strategico dei fondi pubblici e filantropici per attirare capitali privati verso gli investimenti con impatto sociale nei mercati emergenti. Tramite il supporto di co-investimenti pubblici (come il capitale di prima perdita o garanzie), gli investitori privati beneficiano di minor rischio e/o di rendimenti superiori sui loro investimenti in questi mercati emergenti. Allo stesso tempo, gli investitori pubblici possono amplificare l’impatto del loro finanziamento attirando capitale privato che altrimenti non sarebbe disponibile.

In secondo luogo stiamo assistendo a un’aumentata sofisticazione, con sempre più operatori qualificati che portano expertise importanti in questo settore e una crescente attività di ricerca sia su prodotti di investimento che sul tema della misurazione di impatto.

Infine come settori d’interesse. Chiaramente oggi la maggior parte dei capitali è investita in microfinanza ma anche questo sta cambiando e altre aree stanno crescendo (ad esempio: food & agriculture, salute, housing, energia, ed educazione). Ad esempio noi gestiamo un fondo per l’educazione in Africa che è stato creato dal Governo Tedesco per promuovere l’accesso a servizi educativi e che ora si sta aprendo anche a investitori privati, attirati dalla reputation di un governo solido come primo investitore.

Un’enorme massa di capitali disponibili, l’aumentata sofisticazione dei player coinvolti e le nuove possibilità d’investimento al di fuori dell’ormai consolidata microfinanza sono i principali trend che suggeriscono il potenziale di crescita di questo settore

L’impatto sociale generato è il punto fondamentale su cui si regge questo nascente settore. Come si pone BlueOrchard per quanto riguarda la misurazione d’impatto e la scelta degli investimenti?

L’impatto sociale è la base della nostra attività. Nella nostra due diligence abbiamo una parte classica di analisi finanziaria e poi un social performance assessment basato su un nostro strumento che si chiama SPIRIT: si tratta di una scorecard con cui analizziamo tutte le organizzazioni su cui investire, guardando a come operano per raggiungere gli obiettivi sociali che si sono prefissate (social performance).

Gli elementi che analizziamo sono numerosi: in primis a livello di strategia d’impatto – in termini di missione, target, clienti, presenza di reporting e di valutazioni esterne; quindi quali sono gli obiettivi prefissati e come intendono raggiungerli. Poi passiamo alivello di organizzazione: per creare impatto tutta l’organizzazione deve essere allineata con gli obiettivi quindi guardiamo alle persone (il background, le competenze a livello di board-management-staff ecc.) analizzando anche livelli retributivi e di turnover per avere il polso della realtà.

Poi vengono considerati i prodotti e i servizi e come vengono offerti: se parliamo di microfinanza, è importante capire se e quali altri prodotti vengono messi a disposizione dall’organizzazione in cui investiamo in aggiunta al microcredito – se si tratta solo di prodotti o ad esempio anche di training. Infine vogliamo capire se l’organizzazione stessa cerca di raggiungere il duplice obiettivo di generare impatto sociale ed economico, senza massimizzare uno a scapito dell’altro (ad esempio: i tassi d’interesse applicati ai clienti sono in linea con quelli di mercato e ragionevoli?).

La considerazione di quale beneficio verrà creato per la comunità costituisce una parte integrante delle scelte di investimento ed è il fondamento della nostra attività.

BlueOrchard

Con circa $1,5 mld gestiti in vari fondi, investitori pubblici (banche di sviluppo come la Banca Mondiale o la Banca di Sviluppo Tedesca) e privati (fondi pensione, family office e banche), Blue Orchard ha investito ad oggi circa $3 mld su 300 organizzazioni in 60 Paesi, raggiungendo oltre 20 milioni low-income individuals con tre temi principali: inclusive finance, educazione, e cambiamento climatico (ad esempio attraverso le climate microinsurances nelle zone rurali).

Vai al BlueOrchard Social Performance Report 2015-2016

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