Dialogue Social Enterprise e Ashoka Visionary Program: Empowering a New Generation of Social Sector Leaders

L'intervista con Andreas Heinecke, creatore del modello di Dialogo nel Buio, e Raphaela Tončić-Sorinj evidenzia alcune lezioni chiave per imprenditori e investitori sociali

Le imprese sociali sono entità profit-making impegnate a rispondere a un bisogno sociale-ambientale attraverso la produzione di beni e/o servizi. Stante questa peculiare doppia anima, la viabilità economica deve costituirsi attorno a un ben definito modello di impatto (i.e. una Theory of Change) che dev’essere chiaramente accessibile a investitori e stakeholder esterni.

Dialogue Social Enterprise (DSE) rappresenta un caso esemplare di quest’asserzione: un modello radicato e sostenibile, uno dei primi esempi al mondo di social franchise, con tre principali programmi in 30 Paesi (Dialogue in the Dark, Dialogue in Silence, Dialogue with Time) che in 30 anni sono stati in grado di modificare le percezioni delle disabilità di milioni di visitatori, facilitando l’inclusione sociale e generando migliaia di posti di lavoro per persone disabili, svantaggiate e anziane. 

Abbiamo esaminato le dinamiche di DSE per evidenziare alcune lezioni chiave per imprenditori e investitori sociali nell’intervista con Andreas Heinecke, creatore del modello di Dialogo nel Buio e fondatore di DSE, e Raphaela Tončić-Sorinj, Head dell’Ashoka Visionary Program.

Potrebbe essere una domanda ormai abusata per Lei, ma credo sia sempre interessante raccontare come si afferma un’innovazione. Com’è nata l’idea di Dialogue in the Dark?

A.H.    In verità Dialogue in the Dark è nato per puro caso. Cosa che spesso accade: Coca-Cola, Teflon, le patatine… le innovazioni accidentali sono frequenti e spesso riguardano prodotti destinati a creare enormi impatti sulla società.

Ho cominciato la mia carriera come giornalista e un giorno mi assegnarono il compito di formare un giovane reporter che aveva perso la vista in un incidente. Sulle prime non sapevo cosa fare, che lavoro assegnargli… Non avevo nessun esperienza con persone non vedenti.

Ma, man mano, la mia attitudine verso disabilità e condizioni particolari mutò e compresi come si possa convivere con cambi fondamentali nell’esistenza, guadagnando una nuova dimensione per percepire il mondo quotidiano senza la vista. Il problema principale non era “servire” le persone disabili ma piuttosto infrangere le barriere tra vedenti e non vedenti.

Così cominciai il mio viaggio, dedicandomi a trovare nuovi modi per creare ponti attraverso l’esperienza umana diretta. 

Potrebbe illustrarci i principi che guidano Dialogue Social Enterprise, in termini di modelli di business e struttura operativa?

A.H.     Io sono sul mercato da 30 anni, con diverse imprese sociali alle spalle. Nel 2008 ho lanciato Dialogue Social Enterprise (DSE) come entità ombrello per le altre realtà, con lo scopo di promuovere il cambiamento sociale attraverso esibizioni che fossero in grado di aumentare la consapevolezza sulle condizioni di vita delle persone anziane o con disabilità. Il nostro punto di forza è l’autonomia economica: siamo autofinanziati, non riceviamo donazioni né impieghiamo volontari, e contiamo su uno staff di 140 dipendenti.

DSE opera su due livelli: come social franchise e come fornitore di servizi di consulenza. Abbiamo un ampio ventaglio di partner nazionali (investitori sociali, imprese, organizzazioni non profit, musei, università) in tutto il mondo, che operano autonomamente sotto licenza. Per assicurarci che questi business a livello mondiale operino in conformità ai nostri standard qualitativi, la licenza comprende dei servizi di consulenza e di implementazione da parte del team DSE.

Il nostro programma Dialogue in the Dark invita i visitatori a esplorare il non-visto attraverso un’esibizione al buio, in cui il pubblico è guidato da persone non vedenti – un completo rovesciamento di ruoli. Con Dialogue in Silence i partecipanti indossano delle cuffie che simulano la condizione di sordità. L’immersione in un mondo completamente silenzioso forza le persone ad affidarsi alle guide non udenti per comunicare, utilizzando il linguaggio del corpo e altri metodi alternativi ai suoni. Infine Dialogue with Time vuole insegnare ai visitatori a considerare l’invecchiamento da una nuova prospettiva, con un profondo scambio con persone sopra i 70 anni.

Le imprese sociali sono, o almeno dovrebbero essere, i veicoli perfetti per investimenti ad impatto. Un’impresa sociale – costruita per produrre un impatto sociale attraverso un modello di business economicamente sostenibile – cosa dovrebbe ricordarsi per attrarre investitori esterni?

A.H.     Una premessa: DSE è stata oggetto di investimenti esterni, quindi posso parlare per la mia esperienza. Si tratta in primis di stabilire una buona connessione con gli investitori: potete fare una due diligence, un piano di investimento, potete evidenziare il modello di business e la strategia di marketing… Sono aspetti fondamentali ma normalmente non bastano per porre le basi per una collaborazione fruttuosa. Con gli investitori sociali e gli impact investor vi serviranno molti incontri per costruire la relazione: dato che il ritorno economico non è il solo driver, entrambe le parti devono imparare a conoscersi a fondo.

In secondo luogo e conseguentemente, dev’esserci mission fit: dovete essere molto chiari e razionali su ciò che state facendo e comprendere da subito se gli obiettivi sociali e le priorità dell’investitore sono allineate con la vostra mission, in modo da conciliare le reciproche aspettative.

Infine, entrambe le parti devono concordare sulla timeline attesa. Il cambiamento sociale non è cosa facile: per creare veri outcome significativi nel lungo termine dovete presupporre una collaborazione stabile e un commitment paziente. Questi sono elementi che devono essere definiti all’inizio della partnership.

R.T-S    Aggiungerei che durante la relazione bisogna garantire una forte trasparenza, raccogliendo e condividendo i dati in un modo comprensibile per l’investitore. E anche la personalità ha il suo peso: va costruita la fiducia, quindi l’abilità di relazionarsi con l’investitore è essenziale. 

Da un punto di vista economico, noi possiamo testimoniare un enorme bisogno di investimenti ibridi per gli imprenditori sociali. Per questo Ashoka Germany ha creato il F.A.S.E. (Financing Agency for Social Entrepreneurship) focalizzato sull’individuazione di hybrid investments per gli imprenditori sociali e sul mettere in connessione investitori e imprenditori. Crediamo stia procedendo molto bene e sta rispondendo a una domanda del mercato amplificando le aree di interesse non coperte da investimenti tradizionali.

Il suo modello è caratterizzato da una grande sostenibilità economica, che garantisce la continuità di DSE nel lungo termine. Ma qual è il vostro approccio all’impatto sociale, come ne tenete traccia e come misurate i vostri risultati?

A.H.     Noi siamo un’organizzazione evidence-basedè importante comunicare e dare visibilità ai nostri successi solo se i nostri annunci sono basati su prove forti – e questo è qualcosa che teniamo sempre come mantra. Apparteniamo a diversi network, come Ashoka e la Schwab Foundation: quando vieni selezionato per diventare membro hai diversi obblighi – uno in particolare riguarda il monitoraggio e la rendicontazione attenta dell’impatto sociale generato. 

Noi ci avvaliamo spesso del metodo SROI, e recepiamo un report annuale da tutti i nostri partner che viene analizzato da uno staff dedicato per evidenziare cosa ci dicono i dati. E siamo sempre attenti alle novità esterne: appena qualche giorno fa abbiamo ricevuto uno studio sulle percezioni e sugli stigma riguardo la cecità, e lo stiamo esaminando con cura perché vogliamo definire con chiarezza la differenza che riusciamo a fare.

L’Ashoka Visionary Program è stato creato nel 2015. Cos’ha portato alla nascita di questo percorso formativo e qual è la connessione con il prof. Heinecke?

R.T-S     L’idea del programma è nata dal nostro lavoro a stretto contatto con gli imprenditori sociali, in particolare con i nostri Fellow. Abbiamo riscontrato un beneficio nell’offrire un percorso che sintetizzasse e desse struttura all’approccio di Ashoka all’imprenditoria sociale, all’innovazione, all’empowement. Per questo abbiamo sviluppato un programma in 7 moduli di due giorni l’uno, e ci siamo resi conto che ne poteva nascere un social business, costituendo una piattaforma che unisse i nostri imprenditori sociali ad altri stakeholder – settore privato, consulenti, business angels,CSR, rappresentanti del settore pubblico… Questo al fine di farli lavorare insieme sulle problematiche che gli imprenditori sociali affrontano ogni giorno. E’ stato incredibilmente utile, e ne sono nate molte iniziate innovative.

Il Professor Heinecke insegna Impact and Business Modelling all’Ashoka Visionary Program. Ci sono diverse modalità di misurare l’impatto, in termini di modelli e strumenti, e quello che ha appena esposto è una delle possibilità disponibili in un portafoglio di approcci. Il punto al giorno d’oggi è che se sei un’impresa sociale devi essere cristallina sul tuo impatto o non riceverai finanziamenti. 

Un valore aggiunto è che, oltre a un panel di esperti come il prof. Heinecke, ogni modulo include un Ashoka Fellow come relatore per esporre la propria storia e il proprio percorso di change-maker. 

La prossima edizione partirà in ottobre e le registrazioni sono aperte. Partecipare significa accedere al know-how di Ashoka, entrare in contatto con investitori e imprenditori sociali per comprendere le loro dinamiche, e definire il proprio modello di impresa sociale… rinforzando al tempo stesso il network per implementarlo.

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