Social impact investing: un’opportunità per il mondo corporate

L’approfondimento dal Corso Executive 2017 analizza il potenziale per le imprese di attivarsi nel mondo degli investimenti a impatto e le implicazioni dei nuovi modelli di shared value per attrarre capitali esterni

Social impact investing: un’opportunità per il mondo corporate

Negli ultimi anni, alla luce della consapevolezza che il ruolo dei governi e della filantropia non è di per sé sufficiente a rispondere a problematiche sempre più pressanti, abbiamo assistito a un crescente interesse verso pratiche che mirano a movimentare capitali privati per affrontare sfide sociali. Le masse filantropiche globali, anche combinate con gli stanziamenti governativi per lo sviluppo o la cooperazione internazionale, sono in grado di movimentare cifre nell’ordine di miliardi di dollari; al tempo stesso, il costo per risolvere le problematiche sociali più critiche a livello mondiale si attesta sull’ordine di migliaia di miliardi: si stima, ad esempio, un gap annuale di circa $2.5 bilioni l’anno per raggiungere i nuovi Sustainable Development Goals solo nell’ambito dei Paesi in via di sviluppo. Lungi dal voler sostituire la filantropia tout-court e il ruolo dei governi, l’impact investing va piuttosto considerato come uno strumento complementare, per integrare in alcuni ambiti le azioni dei tradizionali player del settore sociale e potenziare la capacità di generare impatto sostenibile attraverso modelli basati su logiche di mercato.

Una caratteristica del settore impact è di non essere appannaggio di una specifica categoria di attori; al contrario, questa asset class si caratterizza come multi-stakeholder, rivolgendosi ad un ampio pubblico di soggetti che possono trovare il proprio ruolo come investitori o come soggetti investibili in base ai propri obiettivi.

Consideriamo il settore corporate ad esempio. La prima ricerca effettuata in tal senso dal Committee Encouraing Corporate Philanthropy (CECP) riporta come 1/3 delle imprese dello studio sia in qualche modo già attiva nel settore impact. Il fatto stesso che il CECP abbia voluto investigare in tal senso come gli investimenti delle imprese supportino la comunità è già un segnale del crescente interesse del mondo corporate verso il settore dell’impact investing.

Diverse multinazionali hanno lanciato iniziative strategiche come Unilever, Schneider Electric, Danone, Louis Dreyfus. Si tratta di soggetti che, con il social impact investing, vogliono attivarsi all’interno del proprio core business per potenziare le possibilità di essere competitive nel lungo termine, creando al contempo impatto sociale e rafforzando la propria reputazione. Unilever, ad esempio, che per alcuni prodotti chiave dipende dal sourcing di materie prime nei Paesi emergenti, si è resa conto della crescente importanza di mantenere relazioni stabili con i produttori locali: finanziandoli riesce a consolidare i rapporti e al contempo a costruire una reputazione di brand attento alle implicazioni sociali.  Possiamo considerare anche un risvolto in tema di sviluppo di business model e apertura di nuovi mercati: come nel caso del settore assicurativo, con case history già presenti di imprese che tendono a investire in Paesi emergenti in società assicuratrici locali, ottenendo un ritorno finanziario e monitorando da vicino le innovazioni a livello di canali di distribuzione (es. mobile banking) e prodotti (es. micro-assicurazione climatica). Si tratta evidentemente di iniziative dove il confine tra CSR e business development è spesso molto sottile.

L’impact investing può rappresentare un terreno d’interesse per le imprese non solo come soggetti investitori ma anche come potenziali oggetti di investimento. In questi anni stiamo assistendo a una sostanziale convergenza tra modelli profit e non profit, e a una riduzione della tradizionale distinzione assoluta tra i due mondi – uno dedicato esclusivamente alla produzione di valore sociale, l’altro con l’unico obiettivo di generare valore economico. I confini tradizionali si assottigliano nel momento in cui si riconosce l’esistenza di modelli non profit che creano valore economico e, soprattutto, che esiste un mondo di imprese capaci di generare impatto sociale – un mix che ritrova la sua definizione nel concetto di blended value.

Se queste imprese in passato non avevano un’identificazione precisa e rischiavano di non far emergere il loro valore sociale, con l’affermazione delle BCorp e la legislazione sulle Società Benefit riescono ora segnalarsi al pubblico e soprattutto a potenziali investitori impact per cui possono rappresentare un target allineato. La normativa sulle Società Benefit, in particolare, dovrebbe incoraggiare eventuali impact investors, rassicurandoli sul fatto che l’impresa s’impegnerà per statuto a portare avanti determinati obiettivi di impatto sociale. Se da un punto di vista fiscale la normativa non prevede benefici o agevolazioni, il passaggio a società benefit può quindi essere considerato come una CSR 2.0, un investimento reputazionale non solo nei confronti della comunità ma per attrarre capitale esterno nell’ambito degli investitori impact.

 

References

  • Corso Executive in Social Impact Investing 2017
  • United Nations Conference on Trade and Development, (2014), “World Investment Report”
  • Itinerari Previdenziali e Assoprevidenza, (2017), Terzo Quaderno di Approfondimento – Investimenti a impatto sociale: analisi e opportunità
  • Committee Encouraging Corporate Philanthropy, (2016), “Investing with Purpose”
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