Come possono le fondazioni sostenere efficacemente campagne e iniziative di mobilitazione?
Tre domande a Debora Guidetti, independent expert e moderatore del Lang Philanthropy Day 2017, sui trend europei e su nuovi strumenti a disposizione delle fondazioni sulla scia delle mobilitazioni civiche sorte in questi anni
27 Settembre 2017
Il tema della “mobiltazione delle fondazioni” sta guadagnando consensi a livello internazionale: sulla scia delle mobilitazioni civiche sorte in questi anni, l’attenzione si concentra su come le fondazioni possano aiutare le campagne a ottenere un impatto più vasto e sostenibile, e quali proposte racchiudano il maggior potenziale per entrare in connessione con la popolazione e promuovere cambiamento sociale.
Ne abbiamo discusso con Debora Guidetti per evidenziare nuovi strumenti che le fondazioni possono integrare per potenziare la propria capacità di generare impatto.
Per quali ragioni il tema della mobilitazione sta emergendo a livello internazionale e quale ruolo possono giocare le fondazioni?
Direi che a livello globale questa tematica ha assunto una crescente importanza grazie a movimenti collettivi – come nella campagna presidenziale di Obama – e di protesta, ad esempio quelli sorti in concomitanza della crisi economica e della Primavera Araba.
Le fondazioni si sono trovate ad assistere a una crescente capacità di mobilitazione dei cittadini: ma quali parti di questo fenomeno sono rilevanti per le fondazioni e come possono quest’ultime far leva su questa energia? Le fondazioni si trovano nella necessità di comprendere cosa sta accadendo, e quali siano le tecniche, i limiti e le opportunità di questo nuovo approccio. Abbiamo notato che questo tema stava diventando sempre più forte negli USA mentre in Europa appariva ancora inesplorato nel settore filantropico. Così, in collaborazione con Guillaume Bonnet del Campaign Accelerator, stiamo lanciando un nuovo training che si svolgerà da ottobre per aiutare le fondazioni a sostenere efficacemente la domanda di mobilitazione civica e di campagne promosse dalla gente, e riuscire a identificare quelle con il maggior potenziale di successo.
Si tratta di un tema particolarmente rilevante che si concentra su domande come “l’impatto previsto riguarderà il raggiungimento di uno specifico obiettivo o piuttosto prevede un percorso di cambiamenti incrementali? Cosa serve affinché i risultati siano permanenti?” Le fondazioni possono ad esempio fare riferimento a cinque criteri per valutare se una campagna di cambiamento sociale abbia gli elementi per essere di successo:
- Il primo criterio si concentra sull’esistenza di una richiesta semplice e concreta, i.e. se la campagna si basi su un problema comprensibile la cui soluzione potrà avere un effetto-domino positivo capace di produrre empowerment per la popolazione e condurre a un cambiamento misurabile
- Il secondo criterio valuta se la mobilitazione abbia un obiettivo realistico e specifico, per esempio se si basi su una mappatura del potere e un’analisi degli stakeholder
- Il terzo verifica la presenza di una connessione emotiva con il pubblico target della campagna, quindi se la campagna si basi su dati/fatti incontrovertibili e al contempo ritragga una storia umana capace di fornire contenuto ai numeri
- Il quarto valuta se è stata identificata una linea di azione rapida e urgente illustrata in modo coinvolgente
- Infine, l’ultimo criterio considera se la mobilitazione si trasformerà in un percorso di lungo termine di coinvolgimento del pubblico e quali strumenti siano necessari per sostenere questo cammino
Questo sembrerebbe un approccio prezioso per aiutare il settore sociale a riconnettersi con la comunità – facciamo riferimento ad esempio all’emergenza migranti in Italia e alle crescenti percezioni dell'”uomo della strada” di una specie di “business della carità” ogni qual volta si parli di assistenza ai rifugiati da parte delle ONG…
Certamente, è rilevante perché stiamo perdendo la narrativa, la presentazione e la spiegazione delle problematiche che affrontiamo. Le ONG dovrebbero essere incoraggiate non a perdere i propri principi ma a spiegarli meglio alla comunità, tornando alle basi e aumentando la capacità di entrare in connessione con la popolazione, e in particolare con il soggetto medio altamente influenzabile. Come lo UNHCR ha evidenziato di recente, i numeri dell’emergenza migranti sono gestibili, il vero problema riguarda la narrativa tossica che circonda questo tema.
Le reazioni delle fondazioni hanno spaziato da quelle che hanno scelto di concentrarsi sull’innovazione (per esempio attraverso imprese sociali), su bisogni basilari, sul creare consapevolezza pubblica… io ho apprezzato in particolare l’approccio di fondazioni come Compagnia di San Paolo in Piemonte o la Open Society in Grecia: un modello “esplicito ma non esclusivo”, che si concentra sui bisogni dei migranti ma non esclude la più vasta popolazione. Questo genera effetti molto positivi, per esempio eliminando la possibilità di accuse di un qualche focus privilegiato sui migranti; operando direttamente a favore dell’integrazione sociale; e lavorando per un cambio sistemico a livello di società.
Quali mutamenti nel settore filantropico ritiene particolarmente rilevanti?
Sono parecchi in realtà, e li abbiamo studiati con Ariadne, nell’ultimo Forecast Report: mi colpisce in particolare il focus crescente del settore su trasparenza e accountability. Inoltre, direttamente nella mia attività, ho osservato un trend costante nel modo in cui le fondazioni valutano le proposte dei grantee per verificare se siano coordinate nel complesso e se nella loro totalità possano generare un impatto sistemico.
A livello di prospettiva interna, crescente focus è stato dato alla theory of change, alla strutturazione di una strategia di portafoglio, e alla coordinazione tra più funders attivi sul campo. Da ottobre, ad esempio, supporterò Ariadne per l’organizzazione di una serie di tavole rotonde per fondazioni intenzionate ad aumentare il loro investimento per contrastare la discriminazione e le tendenze xenofobe in Europa.
Il mio parere è che le fondazioni coltivino giustamente l’innovazione, e debbano continuare a farlo, senza mai dimenticare due aspetti collegati: l’apertura al rischio e l’impegno a lungo termine su delicate tematiche sociali. Le fondazioni a mio avviso dovrebbero allocare parte del proprio budget dedicandolo ad attività più rischiose, pena l’impossibilità di aspirare a diventare veri attori di cambiamento per la società.
Scoprite di più e venite a conoscere Debora al Lang Philanthropy Day 2017