Supportare i funders per una filantropia efficace
L'intervista a Tonika Hirdman, Director General della Fondation de Luxembourg, approfondisce l'evoluzione delle prospettive e dei bisogni dei filantropi, anche alla luce del ruolo di primo piano giocato dalle private bank del Paese che sostengono gli individui con grandi patrimoni (HNWI)
27 Febbraio 2018
Fondation de Luxembourg, membro di Transational Giving Europe (TGE), è stata istituita nel 2008 dallo stato del Lussemburgo e dalla Oeuvre Nationale de Secours Grande-Duchesse Charlotte, per istituire un centro di know-how filantropico nel Granducato del Lussemburgo e facilitare gli impegni filantropici di privati e imprese.
Grazie all’accompagnamento fornito a donatori ed enti erogatori, la Fondazione ha sviluppato una notevole competenza su tematiche filantropiche fondamentali quali, ad esempio, la definizione di un modello di community engagement, lo sviluppo di una exit strategy efficace e condivisa, oppure nell’assistenza ai donatori per le donazioni transnazionali.
Abbiamo discusso con Tonika Hirdman, Direttore Generale della Fondation de Luxembourg, per approfondire l’evoluzione delle prospettive e dei bisogni dei filantropi, anche alla luce del ruolo prominente che il settore del private banking del paese svolge nell’assistenza agli HNWI.
Potrebbe fornirci una panoramica numerica sullo scenario filantropico in Lussemburgo?
Occorre iniziare dicendo che non vi è stata molta attività nel settore delle fondazioni fino a venti anni fa. L’80% delle fondazioni esistenti oggi è stato creato in questi ultimi anni. Nel 2008, il governo del Lussemburgo ha avuto l’idea di promuovere la filantropia tramite l’iniziativa proposta dall’ex Primo Ministro Jean Claude Junker. Tale iniziativa era innanzitutto stata lanciata e annunciata per creare una fondazione ombrello nazionale – Fondation de Luxembourg – con due obiettivi: (1) semplificare la creazione di altre fondazioni (processo fino a quel momento complicato in Lussemburgo a causa di un iter di approvazione macchinoso), e (2) guidare accompagnare i donatori nel loro percorso filantropico.
Inoltre, l’iniziativa si proponeva di facilitare la legislazione riguardante la filantropia, agendo sul sistema di tassazione in modo da rendere l’impegno filantropico più conveniente anche sotto un punto di vista fiscale. Da quel momento, sotto l’ombrello della Fondation de Luxembourg, sono state create circa 70 nuove fondazioni. Abbiamo anche visto un aumento nel numero di fondazioni istituite indipendentemente da Fondation de Luxembourg nello stesso periodo: fino al 2009, ne esistevano 100, ad oggi, il numero è raddoppiato, e si contano 200 fondazioni di utilità pubblica.
“Fondation de Luxembourg nasce per facilitare la creazione di altre fondazioni e guidare i donatori nel loro percorso filantropico”
Percepite un’evoluzione nei bisogni e nelle prospettive dei filantropi, individuali o aziendali? Quali sono i cambiamenti più interessanti che stanno avvenendo nel mondo della filantropia?
Certamente. Il profilo classico del filantropo è di una persona anziana, tipicamente senza figli, che intende donare il suo denaro a sostegno di organizzazioni con progetti umanitari come un’eredità. Questo spesso voleva dire devolvere il proprio denaro senza partecipare all’attività finanziata. Si nota, oggi, un distaccamento da questa prospettiva e un aumento di donatori più giovani, che desiderano essere attivamente partecipi.
Principalmente, esistono due trend. Da un lato, sta aumentando l’interesse nella misurazione dell’impatto del proprio impegno, con un’attenzione particolare al risultato. Si tratta di un elemento chiave che porta all’unione delle forze tra le fondazioni per la realizzazione di obiettivi simili. Dall’altro lato, notiamo un aumento del focus sull’imprenditoria sociale, in altre parole una prospettiva imprenditoriale volta a ottenere un impatto sociale e un cambiamento a lungo termine nella comunità locale.
Facciamo un esempio. Un anno fa, una persona di quasi sessant’anni si è rivolta a noi: rappresentava il suo business di famiglia, un’attività di successo nel campo dell’IT, da poco venduto. La famiglia aveva l’intenzione di supportare gli imprenditori sociali; tuttavia, pur avendo una buona esperienza a livello imprenditoriale, non avevano nessuna competenza filantropica. Li abbiamo quindi messi in contatto con degli incubatori per imprenditori sociali ed è stato molto interessante vedere come, facilitando gli incontri tra i giusti player, abbiano iniziato subito a impegnarsi attivamente per selezionare gli imprenditori sociali e guidarli nelle loro attività. Così facendo, hanno identificato molti altri potenziali progetti da sostenere. Hanno imparato talmente tanto da questo nuovo network, che ora sono loro che propongono a noi nuovi progetti. A mio avviso questo è un modo molto efficiente di supportare nuovi filantropi: se riusciamo ad aiutarli ad accedere a nuova conoscenza, possono imparare e impegnarsi attivamente per portare l’attività a più alti livelli.
Un altro modo per promuovere questo cambiamento è la connessione tra filantropi. In Fondation de Luxembourg, organizziamo regolarmente degli incontri con un numero limitato di funders (10-15 persone), su temi o problematiche specifiche di interesse comune. Il nostro obiettivo è facilitare lo scambio, facendo sì che possano apprendere dalle esperienze altrui – abbiamo assistito alla nascita di molte collaborazioni tra le fondazioni grazie a questo metodo. Penso che sia interessante e positivo, perché possiamo aiutare a combinare e ottimizzare l’utilizzo delle risorse orientandole verso una filantropia più efficiente.
“Si notano due trend principali: un interesse crescente nella misurazione dell’impatto del proprio impegno filantropico e un aumento del focus sull’imprenditoria sociale”
Come opera la Fondation de Luxembourg per supportare i filantropi?
Siamo una fondazione “a ombrello”, perciò agiamo come intermediari tra donatori, organizzazioni e progetti del settore sociale. Abbiamo un approccio donor-oriented, ad esempio identificando organizzazioni e progetti in linea con i loro obiettivi. La procedura che abbiamo instaurato per selezionare le organizzazioni è molto importante; generalmente proponiamo una lista di diversi progetti nella loro area d’intervento, dopodiché supervisioniamo le attività per quanto riguarda il monitoraggio delle milestones definite stipulando un accordo quadro con l’ONG implementatrice.
Un’altra parte del nostro lavoro guarda al lato amministrativo: dirigiamo le fondazioni, occupandoci della gestione operativa, dei pagamenti, della contabilità, etc.. Agiamo anche come segretari per i board meetings delle fondazioni.
Inoltre, il Lussemburgo è un importante centro finanziario, dotato di un settore di private-banking molto rilevante. Quando la Fondazione è stata istituita, l’idea principale era di mobilitare questo settore nell’impegno filantropico, affinché i clienti facoltosi siano incentivati a mobilitare le loro risorse per il bene sociale. Negli anni passati, siamo stati molto attivi nell’organizzazione di training, seminari e presentazioni nelle banche private, con lo scopo di stimolare i private bankers a discutere di filantropia con i loro clienti, e suscitare l’interesse nell’allocare risorse verso qualcosa di importante. Penso che questo sia l’ambito nel quale abbiamo avuto il maggior successo a oggi: l’80% dei fondatori di fondazioni da noi create sono arrivati a noi tramite una banca privata.
Secondo la vostra esperienza, quali sono le sfide principali nell’implementare una strategia filantropica efficace?
La prima sfida consiste nel sviluppare una rete di organizzazioni fidate con cui collaborare. Abbiamo definito una procedura da utilizzare per condurre una buona due diligence, andando a guardare i differenti aspetti di queste organizzazioni: il loro livello di esperienza in progetti simili, la loro governance, il loro livello di trasparenza, l’organizzazione, le persone che vi lavorano e le loro competenze. Per reperire queste informazioni, partiamo dall’analisi di informazioni pubbliche e report finanziari, e a volte coinvolgiamo anche le ambasciate o i consolati, per ricevere un riscontro diretto. Inoltre prendiamo contatto anche con altre fondazioni che hanno supportato le organizzazioni, e ascoltiamo le loro esperienze. Implementare una due diligence accurata per trovare i partner più adatti è la sfida più rilevante.
In secondo luogo, lavoriamo spesso con progetti circoscritti ad aree limitate, concentrandoci su comunità specifiche. A seconda dell’esperienza e del risultato del progetto, tentiamo poi di scalare l’iniziativa usando la stessa metodologia e le stesse procedure, estendendola ad altre comunità.
Infine, è molto importante pensare a quale può essere l’exit strategy. Vogliamo evitare che i beneficiari diventino dipendenti dalle donazioni esterne – per questo motivo, occorre pianificare la strategia d’uscita già all’inizio di un progetto, pensando a come renderlo autosufficiente attraverso attività capaci di generare ricavi.
Porto l’esempio di una fondazione con cui abbiamo iniziato a collaborare molti anni fa che opera per la costruzione di scuole in collaborazione con una comunità locale della Namibia. L’obiettivo era la realizzazione di dieci istituti per bambini vulnerabili, di cui la maggior parte con genitori affetti da AIDS. Le scuole sono state costruite con successo, i salari degli insegnanti sono passati a carico delle autorità locali – in breve, abbiamo ottenuto buoni risultati dopo sette anni. Negli ultimi tempi, però, abbiamo lavorato per incoraggiare la comunità locale a costruire un mulino, al fine di avviare un’attività che generasse ricavi. Questa parte del progetto si è sviluppata molto lentamente, perché le comunità locali tendono spesso a vedere il denaro del fondatore come una fonte inesauribile – anche se non è così.. Abbiamo avuto conversazioni sfidanti affinché comprendessero che la responsabilità era nelle loro mani, è stata sicuramente la sfida più impegnativa di tutto il progetto.
“Condurre una due diligence efficace e pianificare una exit strategy fin dall’inizio sono i due elementi chiave per definire una strategia filantropica efficace”
La Fondation de Luxembourg, come membro del TGE, fornisce anche ai donatori l’opportunità di facilitare le donazioni transnazionali. Qual è la situazione per il cross-border giving in Lussemburgo?
Siamo membri di TGE sin dalla nostra creazione nel 2009, è un network molto utile per rendere le donazioni più interessanti da un punto di vista fiscale, anche se le procedure amministrative possono variare da un paese a un altro.
La maggior parte dei nostri donatori risiede in altri paesi Europei, e questo rende la nostra adesione al TGE particolarmente strategica: amiamo vederci più come una fondazione europea che agisce con un raggio geografico molto ampio. Il network del TGE è molto importante e il Lussemburgo è un paese molto proattivo nella promozione delle donazioni transnazionali: infatti, è stato uno dei primi paesi nell’Unione Europea a equipararle alle donazioni nazionali, riconoscendo ai residenti che vogliono donare a un progetto all’estero il medesimo trattamento fiscale.
L’obiettivo del TGE è ovviamente la cessazione della sua esistenza un giorno. Tutti speriamo, infatti, che i diversi Paesi seguano l’esempio del Lussemburgo per quanto riguarda il trattamento delle donazioni transnazionali. In questa prospettiva, è importante menzionare che Dafne e EFC hanno appena pubblicato uno studio, promuovendo gli adattamenti necessari a livello europeo per potenziare il campo d’azione della filantropia. Vediamo sempre più frequentemente donazioni dirette oltre confine, e le statistiche ne dimostrano l’aumento. Abbiamo anche notato una crescita nel numero di ONG e associazioni che richiedono di entrare in Transnational Giving Europe, probabilmente perché i donatori sono più orientati a un ambito internazionale rispetto a 20 anni fa.
“Il Lussemburgo è stato uno dei primi paesi nell’Unione Europea a riconoscere le donazioni transnazionali come donazioni nazionali dal punto di vista fiscale”
Qual è l’approccio della fondazione per quanto riguarda la valutazione d’impatto sociale?
Vi sono due aspetti che è importante considerare. In primo luogo, la valutazione d’impatto sociale di per sé. In termini reali, significa misurare l’impatto complessivo delle donazioni sulla società e penso che poche organizzazioni siano in grado di farlo. Ad esempio, nel caso in cui si supportino le scuole, si dovrebbe provare a misurare l’impatto n termini di aumento del reddito o condizioni di vita migliori provenienti dall’investimento, per poi compararlo con ciò che sarebbe successo senza quell’investimento. È fattibile, ma molto complesso.
L’altro aspetto consiste nel monitorare e misurare il risultato delle donazioni raffrontandolo ai criteri stabiliti. Questo è l’aspetto su cui siamo attivi a oggi: per ogni nuovo progetto che supportiamo, stipuliamo un contratto nel quale ci poniamo delle tappe fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi e richiediamo quindi una rendicontazione regolare da parte delle organizzazioni. Ad esempio, sempre riguardo alle scuole supportate tramite le fondazioni che gestiamo, andremo a rilevare il numero di alunni di successo attraverso i loro risultati accademici. Questa valutazione richiede molto tempo, ma a oggi questo tipo di monitoraggio è molto richiesto: dimostrare i risultati generati è un valore aggiunto che forniamo ai nostri clienti. Se la ragione principale per la quale le persone si rivolgono a noi è la creazione e la gestione di una fondazione, i donatori si chiedono anche e sempre di più come essere sicuri che il loro denaro sia ben investito. Penso che vedremo sempre più clienti guardare a quest’aspetto nel futuro perché è un tema su cui l’attenzione sta aumentando costantemente.