Quando tempo e denaro di una donna fanno la differenza

Quando tempo e denaro di una donna fanno la differenza

Se nel mondo della finanza tradizionale, quella rivolta alla massimizzazione del profitto, la donna ha ancora un ruolo marginale, nella finanza di impatto, cioè negli investimenti mossi dalla volontà di generare impatti nella società e nell’ambiente e in particolare nel grande segmento della filantropia, la donna è protagonista.

Nel rapporto 2017 “Going beyond Giving”(1), The Philantropy Workshop (2) delinea l’identikit del donatore ad alto e ultra-alto patrimonio netto (i cosidetti High and Ultra-high Net Worth Individuals – HNWI e UHNWI). Non ci potevo credere: è donna con un’età tra i 52 e 70 anni, la cui fonte patrimoniale è principalmente derivante dal proprio lavoro e che destina all’attività filantropica parte del proprio tempo e investe fino a 500.000 dollari per dare “wealth, work & wisdom” sottoforma di Educazione, Salute, Sviluppo economico, Ambiente con pari attenzione al finanziamento a progetti locali e internazionali. Al denaro aggiunge competenze, conoscenze e relazioni anche entrando nei consigli e comitati delle organizzazioni beneficiarie. Non è facile capire quale sia la percentuale della donazione rispetto al patrimonio del donatore o meglio donatrice ma non ci sono nemmeno contro-indicazioni di genere, fonte o di età che possano determinare una diversa propensione a donare, le donne sono semplicemente numericamente di più.
Non sono stupita che il donatore-tipo sia una donatrice: le donne tendenzialmente pensano naturalmente al prossimo e comunque sono fortemente educate a supportare il benessere del prossimo nelle sue diverse forme : famiglia, amici, giovani, anziani, abili, diversamente abili, sani, malati ecc.. Mi ha sorpreso, invece, che le classi dei HNWI (più di 10 milioni di dollari di patrimonio netto) e UHNWI filantropi (più di 30 milioni di dollari di patrimonio netto) fossero rappresentate per il 68% dei casi da donne con una piena disponibilità di mezzi finanziari!
Pur avendo l’indagine preso in considerazione soggetti di aree dell’occidente anglo-sassone e protestante, dove le opportunità economiche offerte alle donne sono maggiori per gli alti tassi di sviluppo economico e sociale, essa evidenzia che la realizzazione economica-finanziaria sia frutto nel 42% dal proprio operato in vita, per il 34% da quanto ereditato e per solo il 24% per matrimonio. Insomma ci troviamo di fronte ad una donatrice che ha tendenzialmente una piena disponibilità dei propri mezzi finanziari e tra queste 1 su 2 è attiva nel mondo del lavoro.

Se dare benessere, lavoro e speranza è lo scopo di chi fa filantropia, il suo potenziale, tuttavia, non si realizza pienamente trasformando una decisione di investimento individuale nel dare in un cambiamento sociale tangibile.
Dall’indagine emerge, infatti, che la figura filantropica è avvicinata a quella di un artigiano. Una figura che realizza una due-diligence pre –investimento soprattutto attraverso l’incontro con staff e i board members del beneficiario e non anche attraverso una analisi dettagliata dell’organizzazione e del progetto; comprende la filantropia attraverso la pratica, ma aspira a migliorarla con l’apprendimento per mezzo di workshop, conferenze e ricerche; ha un alto livello di fiducia nell’impatto delle proprie donazioni anche se non sa se sta realizzando un impatto poiché in più del 40% dei casi non vi è nessuna forma di relazione sui risultati (report o validazione dei risultati da terze parti).

Da qualsiasi parte inizi l’esperienza di viaggio nella filantropia, siamo di fronte ad una donatrice che può migliorare le performance del proprio tempo e del proprio denaro per fare pienamente la differenza. L’indagine TPW evidenzia che l’educazione e l’appartenenza a reti in cui è sostenuto l’apprendimento tra pari siano i mezzi preferiti per realizzare pienamente la trasformazione del tempo e denaro della donna in valore sociale.

Ho trovato un studio simile ma non analogo in Italia che descrive l’identikit del filantropo (3), ma anche se datato mette in luce che il grande donatore è meno caratterizzato dal genere (equamente distribuito tra donne e uomini) ed ha un età che è compresa tra i 45 e 65 anni. Altri elementi dell’identikit non ci sono dati . Forse le dimensioni di denaro potranno essere minori rispetto ai grandi donatori presi in considerazione da TPW ma sicuramente saranno compensate da un maggiore tempo dedicato da chi fa filantropia. Credo che però siamo di fronte ad un fenomeno incoraggiante per le donne.

1 “Going beyond Giving” è una ricerca pubblicata il 14 novembre 2017 e realizzata da The Philantropy workshop con il finanziamento del Raikes Foundation e la Bill &Melinda Gates Foundation. L’indagine è stata realizzata su più di 220 individui. Lo scopo dell’indagine è di conoscere come i donatori individuali prendono le proprie decisione sulla struttura e sulla strategia della donazione e su che e cosa influenza la loro pratica di donazione.

2 The Philanthropy Workshop è leader nell’educazione e networking della filantropia strategica. Fondato nel 1995, ha un network di circa 450 filantropi negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Europa America Latina, Medio Oriente ed Asia.

3 Ricerca realizzata nel 2016 è basata su un campione di 66 persone ovvero grandi donatori che sostengono 16 realtà non profit del nostro paese impegnate in diversi ambiti (ActionAid, Ail, Airc, Amref, Bocconi, FAI, Greenpeace, Fondazione comunità Domenico Tardini. Istituto Serafico assisi, Lega del Filo d’oro, Luiss Università degli Studi Guido Carli, Save the Children. UNHCR, Ynicef, Università Campus biomedico di Roma, WeWorld) http://ciesseinforma.csvfvg.it/ritratto-del-donatore-italiano-lidentikit-del-benefattore/

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