Leap Update: 5 consigli ai filantropi per evitare di sperperare tempo e denaro

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Questi consigli vogliono essere una guida per chi si approccia per la prima volta alla filantropia, per condividere alcuni degli errori in cui è facile cadere e offrire i suggerimenti di chi li ha già vissuti, per evitare che altri li ripetano. Sfortunatamente, la lista di errori che un filantropo può commettere è molto lunga, ma la buona notizia è che ognuno di questi è facilmente evitabile se ci si approccia alla filantropia con un atteggiamento che chi pratica Zen chiama Shoshin ossia la “mente del principiante”: uno spirito aperto, curioso e umile.

1. Dare per scontato che fare filantropia sia facile

Staccare gli assegni è facile. Generare un cambiamento significativo e duraturo non lo è affatto. Il filantropo Andrew Carnegie aveva ragione sul denaro quando affermò “ancor più difficile che guadagnare denaro, è saperlo elargire con intelligenza”. Credere che la filantropia sia cosa semplice porta i donatori a non investire il loro tempo nell’apprendimento, oltre a generare un inevitabile senso di frustrazione quando si scontrano con problemi complessi che non possono risolvere con semplicità.

2. Pensare alle erogazioni come prima azione

Quando hai a disposizione ingenti risorse che mai avresti pensato di avere e decine di persone (inclusi amici fidati) che chiedono donazioni, è naturale pensare di prendere subito in mano il libretto degli assegni. Sarebbe invece molto meglio investire del tempo per documentarsi con attenzione prima di iniziare a investire denaro. Quando Mario Morino cominciò, trascorse 18 mesi ad ascoltare e imparare, confrontandosi con 700 persone di differenti estrazioni sociali. La filantropia era un nuovo ambito per lui e spesso era sorpreso da ciò che scopriva. Se avesse cominciato a staccare assegni prima di questo percorso, non avrebbe donato alle organizzazioni più meritevoli e non avrebbe dedicato del tempo – oltre al denaro – per rendere efficaci le sue donazioni.

3. Non ascoltare coloro che sono più vicini ai problemi

Naturalmente, è fondamentale imparare dagli accademici, da altri filantropi e fondazioni simili, da potenziali beneficiari e altri esperti. Ma altrettanto importante è ascoltare i beneficiari dei nostri interventi. Citiamo due casi esemplari:
Bill and Melinda Gates: 
L’iniziativa da $650 milioni per le “scuole piccole” si basava su una ricerca accademica che mostrava come le scuole di maggior successo fossero, in media, piccole. Ma questi studi presentavano grossi difetti. Come il premio Nobel Daniel Kahneman evidenziò in Thinking Fast and Slow, “Se gli statisti che fornirono i report alla Gates Foundation avessero chiesto le caratteristiche delle scuole peggiori, avrebbero scoperto che anche queste erano, mediamente, più piccole. La verità non era che le scuole piccole fossero in media migliori, erano semplicemente più variabili.”
Mark Zuckerberg: 
Nel caso della riforma delle scuole pubbliche di Newark, “I riformatori non hanno mai cercato di avere davvero un confronto con i cittadini di Newark. $200 milioni – di cui $100 da Zuckerberg – e quasi 5 anni dopo, c’era almeno tanto rancore quanto riforma” ha scritto il reporter Dale Russakoff in The Prize: Who’s in Charge of America’s Schools?

4. Credere che le non profit debbano funzionare come aziende

Lo ammettiamo: anni fa siamo caduti anche noi in questa trappola. Ma ci siamo presto resi conto che questo presupposto non era valido. Attraverso anni di lavoro braccio a braccio con i beneficiari, abbiamo appreso che gli ecosistemi in cui le nonprofit operano sono significativamente diversi da quelli del mondo profit. Subito dopo aver fondato Venture Philanthropy Partners, Mario Morino si allontanò dall’analogia con il business e si avvicinò a due principi illustrati da Jim Collins in Good to Great and the Social Sector: Why Business Thinking Is Not the Answer:
1) tutte le organizzazioni, sia profit che nonprofit, possono trarre benefici dall’essere disciplinati
2) la complessità sociale rende molto più difficile portare a termine le attività.
In Giving Done Right, Phil Buchanan illustra con chiarezza il fatto che avere successo in filantropia richiede un insieme di abilità differenti da quelle necessarie per avere successo nel business. “(La filantropia) necessita di un diverso livello di collaborazione e di costruzione delle relazioni, grande umiltà e la consapevolezza di quanto sia difficile tracciare cause e effetti”.

5. Esigere risultati quando non si facilita il loro raggiungimento

In Leap of Reason, fummo implacabili nel criticare le numerose fondazioni che assillano i loro beneficiari per avere più informazioni sui risultati pur non avendo intenzione di aiutarli a investire per rafforzare quegli elementi che contribuiscono a produrre risultati – come la leadership, la formazione continua, la valutazione esterna. In Working Hard—and Working Well, David Hunter fu ancor più severo: “Questo lavoro vuole essere un monito a quei finanziatori che esigono una performance in cui non investono, risultati per i quali non pagano, responsabilità dalle quali si esentano. Fermiamo questa follia!”

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