Uno spaccato sullo sviluppo del settore sociale in Romania

L'intervista a Rozália Csáki, Executive Director della Odorheiu Secuiesc Community Foundation, membro per la Romania del network Transnational Giving Europe, evidenzia lo stato dell'arte di sviluppo del settore filantropico e espansione di una cultura del dono

Uno spaccato sullo sviluppo del settore sociale in Romania

Può parlarci delle origini e della successiva evoluzione della Odorheiu Secuiesc Community Foundation?

La nostra è una storia interessante. Nel 2007 in Romania si svolse una ricerca a livello nazionale con l’obiettivo di analizzare il contesto sociale per capire se le fondazione comunitarie fossero un modello esportabile anche da noi. I ricercatori arrivarono alla conclusione che Odorhei non aveva un ambiente adatto alle fondazioni comunitarie perché la città era teatro di molti conflitti politici e sociali e non era opportuno che sorgessero organizzazioni con gli stessi ideali e gli stessi scopi. In questo quadro ci imbattemmo in un giovane americano, Christopher Worman, che era in Romania come volontario dei Peace Corps. Chris aveva già svolto diverse ricerche sulla società civile e le ong, e anche sulle fondazioni comunitarie, mentre io in quel periodo mi occupavo di sviluppo rurale e di società civile; Chris decise così di costituire una fondazione comunitaria insieme a me. Abbiamo iniziato con diversi colloqui soprattutto con imprenditori e dirigenti di azienda e siamo riusciti a identificare otto partner locali, soprattutto imprenditori; abbiamo unito le forze e costituito la Fondazione, che ebbe un immediato successo. È stata la prima fondazione comunitaria mai creata in Romania, e ne siamo fieri perché la nostra è una città piccola, che conta 33mila abitanti, situata in una regione rurale che conta circa 150mila abitanti. È questa la zona a cui ci rivolgiamo direttamente. Abbiamo costituito la fondazione qui perché è qui che abbiamo iniziato la nostra attività e anche perché in quel periodo molti imprenditori stavano aprendo le loro aziende in città, con l’idea di poter arrivare a tutta la regione. Il nostro primo atto è stato una forte campagna pubblicitaria per cercare di spiegare alle persone che cosa fosse una fondazione comunitaria: le fondazioni comunitarie provengono dagli Stati Uniti, gli statuti sono stati scritti là e da là si sono poi diffuse in tutto il mondo. Noi però abbiamo scoperto che nella nostra regione esisteva per tradizione qualcosa di molto simile chiamato Kalaka: si tratta di una forma di lavoro volontario tipico delle campagne, dove le persone si mettevano insieme aiutandosi nei lavori comuni, come per esempio costruire case o mietere, univano le forze e si alleavano per realizzare qualcosa, ed è una tradizione molto radicata nella nostra zona. È stato questo il primo gancio, il primo nesso utile a spiegare cosa fosse una fondazione comunitaria e perché è importante averne una. Abbiamo così inaugurato il primo progetto, Urban Kalaka, facendo partire i primi gruppi e individuando I luoghi in cui intervenire: erano spazi pubblici, campi sportivi, parchi gioco, aree verdi che abbiamo sistemato e abbellito insieme ai cittadini; abbiamo anche lanciato una raccolta fondi basata su donazioni individuali (programma aziendale rivolto ai dipendenti): le persone contribuivano al nostro fondo, che poi venivano utilizzato, nell’ambito del progetto Urban Kalaka, per ristrutturare spazi pubblici. Per questa prima campagna di comunicazione abbiamo anche girato dei brevi video in cui abbiamo coinvolto i cittadini, chiedendo loro di raccontare perché per loro era bello vivere qui, sotto forma di storia. Abbiamo poi diffuso I video in città per far capire meglio che se vivi a Odorhei e vuoi fare qualcosa per migliorare questo posto, la nostra comunità, puoi unirti a noi, per realizzare qualcosa insieme. Questo è stato il primo atto della nostra fondazione comunitaria, che ha iniziato così la propria attività.

 

Quali sono i principali risultati e le tappe più importanti dei primi dieci anni di attività della fondazione?

Il progetto Urban Kalaka è ancora attivo dopo dieci anni. L’anno scorso abbiamo festeggiato il decennale, e dopo tutto questo tempo devo dire che sono più di dieci i luoghi che abbiamo risistemato e ricostruito grazie all’impegno comunitario e alla partecipazione dei cittadini. Il fatto che il progetto sia ancora attivo dimostra che siamo riusciti a rafforzare la convinzione che «sì, possiamo farcela, possiamo cambiare le cose, possiamo fare la differenza nel posto dove viviamo», e se vogliamo fare qualcosa possiamo riuscirci, tutti insieme. Ritengo che l’aver consolidato questo principio tra la gente sia un traguardo molto importante, forse ancora più importante dell’aver semplicemente ristrutturato e rinnovato alcuni luoghi, che è comunque una bella cosa, ma facendo questo abbiamo anche accresciuto la responsabilità delle persone nei confronti di questi luoghi. Adesso questo senso di responsabilità è molto maggiore, I cittadini hanno più cura degli spazi. Faccio un esempio: se un parco giochi è ristrutturato dalla pubblica amministrazione, questo non rappresenta un valore particolare; se invece lo stesso parco giochi è rimesso a nuovo dai cittadini attraverso Kalaka, ha un valore molto più alto perché implica la responsabilità dei cittadini verso I luoghi della città, dove tutti vivono, e le persone sono anche più dispostee a fare volontariato e a incentivare il senso civico. Oltre al progetto Urban Kalaka vorrei sottolineare un’altra iniziativa, la Community Card. Si tratta di una particolare carta fedeltà inventata e implementata da noi nel 2009 in collaborazione con gli esercizi commerciali della città. È molto semplice: sul retro della carta fedeltà si trova un codice, che una volta passato in cassa permette al cliente di ottenere uno sconto dell’1%, quindi di pagare di meno, e al negozio di devolvere un altro 1% al fondo comunitario. Attraverso questo fondo realizziamo attività di grantmaking a favore dei progetti delle comunità locali. I possessori della carta comunitaria sono anche coinvolti nel processo decisionale, cioè possono dire la loro sui progetti da finanziare dal fondo comunitario; danno un contributo utilizzando la carta, ma possono anche segnalare e motivare priorità a livello locale. Negli anni il progetto è stato sviluppato e sta crescendo. L’anno scorso abbiamo lanciato anche una app legata al progetto: grazie a un sistema di raccolta dati la app permette di analizzare le abitudini di consumo dei possessori, e di raggiungerli con azioni di direct marketing. Oggi nella nostra regione gli utenti della carta sono oltre 15mila. Abbiamo una stretta connessione con loro, in modo da raccogliere anche un maggior numero di voti per i progetti. Abbiamo poi portato questo modello su scala nazionale: sono quattro le comunità in cui è attivo nel nostro paese, e stiamo per esportarlo in Serbia. L’accordo siglato per iniziare è dello scorso maggio, seguirà un periodo di formazione, le comunità saranno sensibilizzate e svilupperemo insieme il sistema operativo che dovrà essere utilizzato anche in Serbia. È uno dei risultati più preziosi raggiunti dal progetto, che è stato considerato uno strumento utile allo sviluppo del sistema filantropico in Serbia. I nostri partner hanno trovato il modello molto efficace, perché funziona bene, è semplice e coinvolge rapidamente i donatori privati non solo nell’atto della donazione ma anche nel processo decisionale.

Un’altra tappa fondamentale della nostra storia è l’evento sportivo comunitario “Run for IT”: è una manifestazione sportiva di raccolta fondi che abbiamo inaugurato cinque anni fa. La prima edizione ha visto in campo 7 ong, l’anno scorso vi hanno preso parte 35 ong. Sono tutte organizzazioni locali, anche del territorio rurale che circonda la città, e l’anno scorso abbiamo raccolto più di 42mila euro. I progetti Community Card e Run for IT hanno coinvolto le persone e le ong, e credo siano davvero pietre miliari della nostra storia, perché mantengono la nostra fondazione comunitaria al passo con la vita del territorio. Nel 2017 abbiamo realizzato un piano strategico partecipato, una pianificazione strategica che ha impegnato non solo lo staff della fondazione ma anche i membri del Board e i cittadini. Abbiamo esaminato i problemi locali, abbiamo analizzato cosa la fondazione ha realizzato finora e come, verificato se i progetti sono efficaci, se cioè rispondono ai bisogni della comunità; abbiamo anche discusso di possibili cambiamenti, delle linee di tendenza, di come come fare di più per la comunità. Alla fine di questo lavoro, che ha portato a un piano strategico partecipato, abbiamo deciso di interrompere alcuni progetti e di iniziarne altri. Per esempio abbiamo stabilito di non proseguire con il progetto YouthBank, che ha avuto una durata di otto anni, e di iniziare il progetto di grant making Heureka che si concentra sulle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Math). Il progetto sostiene progetti educativi sperimentali che rendono piacevole la pratica e lo studio delle scienze. Un altro cambiamento ha riguardato l’attivazione del circolo del donatore, un evento di raccolta fondi di origine britannica. Quest’anno, a marzo, abbiamo realizzato il nostro primo circolo del donatore che è stato un vero successo, e contiamo di proseguire su questa strada. Vi hanno preso parte quasi 50 persone – non un numero enorme, ma se teniamo conto del risultato vediamo che la raccolta ha superato i 4000 euro da quasi 50 persone in poche ore a favore di tre progetti locali, quindi si tratta di un ottimo risultato, soprattutto se si tiene conto del tempo e delle risorse necessarie a portarlo a termine. Le persone hanno risposto molto bene, è stata una sorpresa per noi, continuavamo a dirci «possiamo farcela, possiamo coinvolgere molte persone su buone idee locali». È stato di grande ispirazione. Vogliamo continuare: abbiamo molte storie da raccontare e buone idee da far conoscere.

 

Può parlarci del ruolo della Fundaţiile Comunitare din România, che avete contribuito a istituire?

 Nel 2012 in Romania esistevano solo 4 fondazioni comunitarie: Odorheiu Secuiesc Community Foundation, Cluj Community Foundation, Alba Community Foundation and Covasna Community Foundation. Sono state queste fondazioni ad avere l’idea di costituire una federazione, un’assocazione di fondazioni comunitarie per condividere le esperienze l’una dell’altra, le buone pratiche, le peculiarità, le attività, i settori nei quali valeva o non valeva la pena di intervenire… una sorta di gruppo di mutuo aiuto su misura per fondazioni comunitarie. Questa è stata l’origine della federazione, nel 2012. Oggi in Romania ci sono 16 fondazioni comunitarie, entro quest’anno speriamo diventino 20. Dal 2012 a oggi la federazione ha attraversato un processo di pianificazione strategica, poi una fase di formazione, infine sono stati creati gruppi di lavoro interni per fare un passo in più e far crescere la federazione, anche se in pratica l’obiettivo dell’associazione è sostenere le fondazioni comunitarie.

 

Quali sono le principali caratteristiche del settore filantropico in Romania? Quante fondazioni grant making esistono e quali sono le tematiche più importanti su cui sono impegnate?

Non disponiamo di dati precisi a livello nazionale su quante siano le fondazioni grant making in Romania. Ma sono personalmente convinta che le fondazioni comunitarie lo siano; inoltre negli ultimi cinque anni alcune grandi aziende – come le compagnie di telecomunicazioni e quelle della grande distribuzione – hanno costituito le loro fondazioni che realizzano anche programmi nazionali di grant making. Una delle più antiche fondazioni grant making è la Foundation for Civil Society Development con sede a Bucarest, che ha già gestito i fondi destinati allo sviluppo della società civile nella fase precedente l’ingresso della romania nella Ue. Si tratta di settori di intervento molto diversi: se guardo alle fondazioni comunitarie, vedo che sono concentrate in regioni periferiche, più piccole, e realizzano programmi di grant making nei settori dell’istruzione, della società, della salvaguardia ambientale o della gioventù. Implementano quindi programmi diversi con obiettivi diversi. Se guardo invece ad altre organizzazioni, vedo che i loro programmi di grant making si concentrano sullo sviluppo della società civile in generale: si tratta di iniziative molto forti dirette alla crescita della democrazia, alla salvaguardia dell’ambiente e anche all’educazione dei giovani.

 

Fate parte del Transnational Giving Europe, che consente di donare godendo di benefici fiscali da un paese all’altro. In Romania sono previsti incentivi fiscali per chi dona? Ci racconti la sua esperienza in proposito.

La legge rumena favorisce decisamente più le aziende che donano rispetto ai privati. In pratica le persone giuridiche possono dedurre le donazioni dalle imposte dovute, mentre le donazioni delle persone fisiche non sono deducibili dalle tasse. L’unico beneficio resta quello di vedere le conseguenze delle donazioni, capire che si stanno cambiando le cose, che certi problemi si risolvono… si tratta di una ricompensa di tipo etico e morale. Se si osserva lo sviluppo della cultura filantropica, si vede che negli ultimi cinque anni sono stati ideati molti diversi incentivi per incoraggiare le persone a donare, come per esempio il sistema dell’addebito diretto. Le fondazioni comunitarie stanno organizzando eventi sportivi di raccolta fondi, come la “Run for it”, gare di ciclismo, manifestazioni locali di fundraising… sono tutte modalità con cui sostenere e accrescere la capacità delle ong di raccogliere fondi, e si tratta di eventi molto interessanti e molto efficaci, in grado di ingaggiare e coinvolgere molte persone. C’è anche un’intensa attività di corporate fundraising, molte sponsorizzazioni, e stanno sorgendo anche alcune piattaforme di crowdfunding: al momento sono poche, forse quelle attive sono 4 o 5, ma fino a poco tempo fa non esistevano e adesso ci sono. Sia i donatori corporate che i donatori individuali sono importanti per la nostra fondazione comunitaria, e la nostra strategia prevede di lavorare con entrambi; vogliamo essere il più vicino possibile alle comunità, e non ci interessa diventare più ricchi se questo significa allontanarci dalle nostre comunità e dalle persone con cui e per cui lavoriamo. Per noi è essenziale stare accanto alle comunità per guadagnare e mantenere la fiducia dei cittadini e anche quella delle aziende del territorio, ed ecco perché utilizziamo diversi metodi e diverse tipologie di raccolta fondi, sia per le donazioni individuali che per le donazioni corporate. 

 

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