L’impatto sociale della musica – El Sistema Abreu

L’impatto sociale della musica – El Sistema Abreu

Sotto l’Impero Romano, per testimonianza di Seneca e di Quintiliano, prima della retorica e della filosofia si studiava grammatica, geometria e musica. Questi studi da Seneca sono denominati artes liberales. Alcuni fanno risalire la loro origine alla scuola pitagorica, altri a Platone e Aristotele. Per tutto il medioevo la musica ha fatto parte delle “sette arti liberali” (il Trivio con grammatica, retorica e dialettica e il Quadrivio con aritmetica, geometria, musica e astronomia) che costituivano il programma formativo della futura classe dirigente.

Non so dirvi perché la musica fosse ritenuta così importante nell’antichità, certa è la sua presenza in tutte le culture umane da almeno 40.000 anni (vedi i reperti di ossa-flauto della figura). Nei secoli la musica ha subito un’evoluzione pari a quella dell’uomo, mantenendo sempre un suo livello di contemporaneità e anticipando spesso i livelli di complessità delle nostre strutture mentali. Oggi, grazie allo sviluppo delle neuroscienze, si è scoperto ad esempio che lo studio, la pratica e l’ascolto della musica, soprattutto in età evolutiva, hanno un impatto concreto sulla struttura del cervello. Grazie alla neuroplasticità dei suoi tessuti il cervello modifica il cervello. È provato ad esempio che lo studio della musica aumenta il volume e le attività del corpo calloso, la parte del cervello che permette all’emisfero destro di comunicare con l’emisfero sinistro creando, secondo Michael Gazzaniga, uno dei maggiori neuroscienziati contemporanei, il fenomeno della “coscienza”. Se fosse così potremmo affermare che la musica contribuisce a ridurre il numero degli “incoscienti”. Purtroppo la realtà è complessa ed è difficile dimostrarlo, ma vi sono esperienze importanti che incoraggiano a considerare l’educazione musicale come un percorso virtuoso verso l’acquisizione di una maggior coscienza sociale.  Uno dei più celebri casi di studio è “El Sistema” un modello didattico musicale, ideato e promosso in Venezuela da José Antonio Abreumusicista e ministro della cultura venezuelano.  Il Sistema Abreu è diventato famoso nel mondo (in Italia è stato promosso dal maestro Claudio Abbado) non solo per aver creato 200 orchestre e talenti come Gustavo Dudamel, il più famoso allievo di Abreu, attualmente direttore della Los Angeles Philharmonic, ma per aver saputo coinvolgere e valorizzare anche i giovani emarginati delle favelas venezuelane. La maggior parte dei giovani musicisti del Sistema sono infatti provenienti da situazioni economiche e sociali disagiate e tramite la disciplina musicale e l’impegno hanno la possibilità di fuggire dalle logiche nichiliste dei barrios e dalla povertà.

L’obiettivo dichiarato dal capo del progetto, José Cuesta a “El universal” nel giugno 2007, era “contribuire a migliorare le condizioni di vita di bambini, bambine e giovani del Venezuela, specialmente i più svantaggiati”.  Da alcuni studi condotti egli aveva concluso che la partecipazione al programma migliorava la partecipazione scolastica e riduceva la delinquenza giovanile. La banca finanziatrice del progetto calcolò che per ogni dollaro investito nel Sistemaci sarebbero stati circa 1,7 dollari di dividendi sociali (Arthur Lubow, “Conductor of the People”, New York Times, 28 October 2007). La motivazione è che suonare in un’orchestra, spiega il maestro Abreu in un’intervista a Repubblica del 2005, è molto di più di studiare la musica. Significa “entrare in una comunità, in un gruppo che si riconosce come interdipendente”. L’importanza di tale metodo non è dunque solo artistica, ma tramite esso la musica assume un significato di via primaria per la promozione ed il riscatto sociale e intellettuale.

In Italia la musica sta vivendo un momento di profonda crisi. Da una recente indagine condotta da ABIS per Dismamusica su un campione di italiani tra i 18 e i 65 anni, è emerso che solo il 12% suona uno strumento e solo una piccola parte di questi ha imparato a suonare a scuola (6%). La maggior parte dei musicisti italiani, infatti, ha frequentato lezioni private (35%) o è stato autodidatta (34%). In Italia l’insegnamento della musica è previsto per soli tre anni alle scuole medie inferiori, molto al di sotto di altri paesi come ad esempio la Germania in cui si studia per 12/13 anni.

Per fortuna l’Italia vanta una cultura musicale “intrinseca” eccellente, talvolta inconsapevole, dovuta alla sua storia e tradizione. Se comprate un metronomo trovate le istruzioni in tutte le lingue tranne l’italiano, ma i codici dei “valori” e dei “tempi” sono universalmente scritti in italiano: grave, lento, allegro con brio, etc.

Il pentagramma (tutt’ora utilizzato in tutto il mondo per trascrivere la musica) è un’invenzione risalente all’anno 1000 di Guido d’Arezzo; le regole dell’armonia sono state “fissate” a metà del 1500 da Gioseffo Zarlino da Chioggia in un trattato, “Istitutioni Harmoniche”, il cui successo spiega perché Beethoven usasse le espressioni italiane nella trascrizione delle sue sinfonie.

Quanto alla melodia, la parte della musica protetta dai diritti d’autore, per intenderci quella che “se copi compi il reato di plagio”, è anch’essa un grande primato della tradizione italiana nel mondo, basta ricordare la canzone napoletana che fin dal ‘700 affascinò i parigini (vedi la Querelle de buffons) o le grandi arie dell’opera verdiana ancora oggi famose in tutto il mondo. Per questi motivi storici e culturali l’Italia sviluppa ricerche e sperimentazioni di altissimo livello spesso sconosciute al grande pubblico.

Per fare emergere e dare visibilità a queste esperienze la Fondazione Lang Italia in collaborazione con la Fondazione EY onlus (emanazione del colosso USA Ernst & Young) ha deciso di premiare i progetti e le idee che possono migliorare il mondo attraverso la musica. Le iscrizioni sono aperte e gratuite. Per partecipare clicca qui. Per info: +39 02 3663 513

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